Corriere della Sera, 18 giugno 2021
L’attentato di Violet Gibson
Se Violet fosse riuscita nel suo intento assassino, la storia italiana e mondiale sarebbe stata diversa. Ma Benito Mussolini quella mattina del 7 aprile 1926 fu fortunato, maledettamente fortunato. Come già nei precedenti attentati alla sua vita, la sorte gli si dimostrò amica.
Sono le 10.45 di una assolata giornata romana. Il Duce esce dal Campidoglio, lo circondano due ali di folla, si dirige verso la statua di Marco Aurelio, dove la sua automobile Lancia nera lo attende col motore acceso. Lei, la cinquantenne Violet Gibson, figlia di Lord Edward Gibson, cancelliere d’Irlanda, da una distanza di circa trenta centimetri gli punta alla testa la sua pistola Label carica con sei proiettili da 8 millimetri. E spara. In quel momento un gruppo di studenti intona Giovinezza. Mussolini sta irrigidendosi nel saluto fascista, allunga il braccio e tira indietro la testa, alzando il mento. Molto probabilmente la mossa gli salva la vita. Il colpo, che doveva prenderlo alla tempia, gli ferisce invece il naso. Lui si porta la mano al volto subito insanguinato. Lei preme di nuovo il grilletto. Ma l’arma s’inceppa.
Scoppia la baraonda. La ferita è poco più di un graffio, il sangue esce però copioso. L’attentatrice viene a stento salvata dalla polizia, la folla vorrebbe linciarla. Non sarebbe difficile: è minuta, capelli grigi e scarmigliati, vestiti dimessi, dimostra più della sua età, sembra quasi una clochard. Nessuno potrebbe immaginare che sia invece un’aristocratica inglese. E, quando la polizia italiana lo scopre, fioccano subito le teorie del complotto.
Che sia un’agente delle «perfida Albione» mandata ad eliminare il massimo leader della sempre più aggressiva ed espansionista potenza italiana? Nulla di tutto questo. A Londra siamo ancora nel periodo di grande ammirazione, se non vera infatuazione, per il dinamico capo del fascismo trionfante, percepito dai conservatori britannici come pedina importante nel tentativo di arginare il bolscevismo.
Il nuovo libro di Frances Stonor Saunders, laureata a Oxford e appassionata di storia del Novecento, indaga con minuzia la biografia di Violet Gibson nel libro La donna che sparò a Mussolini (Libreria Editrice Goriziana).
Ne emergono le vicende di una personalità disturbata (infatti fu assolta perché dichiarata inferma di mente), assolutamente innamorata dell’Italia, convertita al cattolicesimo, aspirante suicida, ma anche coerentemente lucida nella sua determinazione a eliminare un leader politico che, lei ne era certa e non sbagliava, avrebbe portato il Paese alla rovina.a