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 2021  giugno 18 Venerdì calendario

Intervista ad André Aciman

Ha viaggiato e vissuto in tutto il mondo, anche in Italia, ha ripercorso avanti e indietro l’opera di Marcel Proust del quale è uno dei massimi esperti, ha cambiato Paesi, scuole e lingue eppure, André Aciman, scrittore statunitense di origini ebraiche nato ad Alessandria di Egitto, si dice refrattario al cambiamento: «L’ho subito, non l’ho ricercato. Molti lo desiderano, io invece vi sono sempre stato spinto dal destino».
Autore tra gli altri di Chiamami con il tuo nome dal quale Luca Guadagnino ha tratto l’omonimo e premiatissimo film, Aciman interverrà oggi in collegamento a Taobuk, il festival che quest’anno è dedicato proprio a “La metamorfosi”, per presentare il suo romanzo L’ultima estate (Guanda), e riflettendo sul tema ricorda subito Ovidio e di quando la sera suo padre gliene leggeva i versi «facendomelo amare, esattamente come ha fatto con Proust».
Qual è il suo personale rapporto con il cambiamento?
«Ho cambiato nazionalità, prima era turca, poi italiana, ora sono americano. Ho cambiato lingua diverse volte. Ho cambiato stato sociale, da una situazione di agio ho vissuto la povertà, un tipo di metamorfosi che nessuno vorrebbe provare. Ho cambiato religione, mio padre era ebreo ed è diventato protestante e di conseguenza anche io, pur non essendo interessato alla religione. Direi che il cambiamento l’ho subito, ma ho sempre cercato di trarne profitto provando a migliorare»
Quando si parla di metamorfosi oggi che cosa le viene in mente?
«Guardando agli Stati Uniti mi viene in mente la facilità con cui la gente è disposta a cambiare sesso, una metamorfosi radicale, che ha a che fare con l’identità e dalla quale non si può tornare indietro.
Una cosa alla quale prima non si dava tanta attenzione, ma che adesso sta diventando centrale, tanto da implicare cambiamenti nel linguaggio».
Quali metamorfosi sono in atto dopo l’esperienza della pandemia?
«Credo che sia passato troppo poco tempo per valutare le possibili trasformazioni durature. Sono cambiate piccole abitudini, ma presto forse ritorneranno come prima.
Sono cambiati i modi di salutarci, di stare insieme. Abbiamo paura di toccarci, di abbracciarci. Credo che la gente avrà paura della folla ancora per un po’, presto però le vecchie abitudini torneranno. Gli italiani saranno espansivi, i newyorkesi un po’ più freddi. Gli stupidi resteranno stupidi e gli intelligenti, tristi».
E cosa ne pensa di cambiamenti radicali come quello climatico o il rapporto con la tecnologia?
«Il cambiamento climatico è la prova che se c’è una metamorfosi in corso è quella che il pianeta sta subendo. Egoisticamente sono felice che non esistano più gli inverni gelidi a New York, ma non so quanto ne potranno godere i miei nipoti se non si fa qualcosa per combattere l’ignoranza sul tema dell’ambiente. Non credo che la pandemia ci abbia reso più sensibili su questo. Per quanto riguarda la tecnologia, presto saremo dei cyborg e avremo i telefonini incorporati nel cervello».
In che modo la metamorfosi interessa la letteratura contemporanea, da un punto di vista sia tematico che stilistico?
«Scomparirà la letteratura sperimentale.
Scomparirà l’interesse per l’indagine psicologica dell’essere umano. Mi preoccupa il cambiamento che riguarda lo stile, conseguenza della supremazia della letteratura americana. Non ci sarà più spazio per Dickens o Tolstoj, ma si farà largo la ricerca della trama semplice e del romanzo breve con molta azione».
Nel suo libro “L’ultima estate” viene raccontata la ricerca della persona amata che, oltre il tempo, rimane sempre la stessa: l’amore favorisce o si oppone alla metamorfosi?
«È vero, nel mio libro c’è resistenza alla metamorfosi. Credo che ricerchiamo noi stessi nell’altro. E ci riconosciamo.
L’intimità è vedere che c’è un po’ di noi nell’altra persona. Ma l’amore, come sentimento, ci cambia, è innegabile. E ci cambia in meglio».
Tra quelle di Ovidio, qual è la metamorfosi che la colpisce di più?
«Quella di Atteone che durante una battuta di caccia, punito per aver visto Artemide nuda fare il bagno, viene trasformato in cervo e divorato dai suoi stessi cani. La cosa straordinaria è che Ovidio racconta Atteone che non si accorge subito della trasformazione, ma man mano che fa nuove esperienze da animale. Prima di morire, Atteone si riconosce cervo e qui il mito entra nell’ambiguità dell’essere umano che ha dentro di sé tutte le sue possibili trasformazioni, anche quelle bestiali».