la Repubblica, 18 giugno 2021
I prezzi delle materie prime stanno andando alle stelle
Domenico Siniscalco
Ovunque si guardi, i prezzi delle materie prime stanno andando alle stelle. Lo dicono i nostri imprenditori. Lo provano soprattutto gli indici dei prezzi delle materie prime, che dai minimi di maggio 2020 si sono impennati, più che raddoppiando nell’ultimo anno. L’impatto sull’inflazione, di cui tutti parlano, è diverso nelle grandi regioni del mondo, perché sono diverse le condizioni dei mercati del lavoro. Ma la vera domanda è se si tratti di un aumento transitorio o strutturale dei prezzi al consumo. La risposta, ovviamente, impatta la vita di tutti: consumatori e risparmiatori, imprese e istituzioni finanziarie, mercati e governi.
Iniziamo con qualche dato. Il petrolio grezzo, dai minimi di maggio 2020 è cresciuto tra il 119% (Brent) e il 128% (Wti). Il rame è cresciuto del 94%, l’acciaio del 121%, i fertilizzanti del 118%. Per farla breve, i prezzi delle materie prime sono più che raddoppiati. I prezzi di semiconduttori, che tradizionalmente scendono per gli aumenti di produttività, sono cresciuti del 68% e i chip che entrano in tutti i principali prodotti, dai computer ai telefoni alle automobili, sono oggi praticamente introvabili.
Le cause di questa esplosione dei prezzi delle materie prime sono abbastanza semplici. Dopo il crollo legato alla pandemia, la domanda di materie prime è ripresa in modo tumultuoso in Cina e negli Stati Uniti, Paesi che guidano la ripresa mondiale. Gli indici dei prezzi dunque sono molto cresciuti perché nel 2020 erano crollati e perché la domanda mondiale sta oggi esplodendo. Nel caso dei semiconduttori e dei chip, anche perché i vari produttori, già molto concentrati, hanno spostato la produzione in un unico sito in Asia e perché la costruzione di nuove fabbriche richiede in media due anni.
Queste tendenze sono comuni a tutti i Paesi perché i mercati delle materie prime sono globali, ma il loro impatto sui tassi di inflazione è diverso tra le principali aree del mondo.
In Europa l’inflazione complessiva dei prezzi al consumo ( headline inflation) ha toccato il 2% in aprile, superando di pochissimo l’obiettivo della Bce, che è pari o inferiore al 2%. Negli Stati Uniti, invece, l’inflazione ha avuto un balzo in avanti fino al 5% in aprile, e tutti gli osservatori pensano che nel 2021 resterà poco sotto il 4%, cioè sopra il target della Fed, che però va rispettato nel ciclo e non puntualmente.
I motivi della maggiore inflazione negli Usa sono molteplici: i prezzi al consumo erano scesi di più che in Europa durante la pandemia; lo stimolo fiscale è più ampio e di conseguenza la ripresa americana è più forte. L’Europa invece cresce meno e il ciclo dei prezzi al consumo da Covid è stato meno ampio. Soprattutto le diverse condizioni del mercato del lavoro in Europa e negli Usa spiegano i diversi andamenti dell’inflazione nelle due macro aree. In Usa il mercato del lavoro è ormai in equilibrio. Da noi la disoccupazione è ancora ampia e contiene gli aumenti salariali.
Tutti i focolai inflazionistici sono probabilmente transitori: gli stimoli fiscali si ridurranno gradualmente; i prezzi dell’energia, secondo gli esperti, dovrebbero declinare lievemente; e la crescita dell’attività economica dovrebbe normalizzarsi.
Per questo motivo le previsioni sull’inflazione dei mercati e delle banche centrali non sono particolarmente allarmate e la loro narrazione è diversa da quella dei media e dell’opinione pubblica che vedono ovunque rischi di inflazione. E le banche centrali non hanno ridotto i supporti all’economia. La Fed tuttavia ha cambiato il proprio linguaggio, suggerendo che la politica monetaria potrebbe normalizzarsi dal 2023 anziché dal 2024 e segnalando così una vigilanza più stretta sui prezzi al consumo. Il cambio di linguaggio, senza toccare la politica monetaria, è stato sufficiente a ridare vigore al dollaro e a provocare primi aggiustamenti dei portafogli degli investitori.
Come è ovvio, peraltro, l’inflazione dipende da molti fattori oltre al prezzo delle materie prime: le misure di politica economica, la domanda aggregata, i salari.
Oltre a tutti questi fattori oggettivi, l’inflazione dipende anche dal sentiment di produttori e consumatori, dall’ancoraggio delle aspettative e dalla credibilità delle banche centrali. Attenzione dunque, perche se si diffondesse l’idea che l’inflazione sta arrivando, il rischio potrebbe materializzarsi e le banche centrali potrebbero essere forzate a cambiare politica con conseguenze negative per tutti.