la Repubblica, 18 giugno 2021
La storia di una donna malata che voleva morire
«Daniela aveva paura dell’agonia. Diceva spesso: se mi dovessero dire che non posso più essere curata, allora voglio scegliere io come morire. Ha scritto alle Asl di Roma2 e Foggia. La prima ha detto subito di no. La seconda non ha risposto neppure, mia madre mi ha raccontato che le hanno riso in faccia». Parla Verdiana, la sorella di Daniela, morta a 37 anni per un tumore al pancreas. Nel giorno in cui l’Associazione Luca Coscioni apre la raccolta di firme per il referendum sull’eutanasia, la sua testimonianza rivela quanto sia insufficiente il testo che la Camera si appresta a discutere dopo tre anni di melina.
Nel video di Daniela colpisce la sua serenità.
«È stato un percorso difficile e doloroso. Tumore al pancreas. Lei diceva sempre io sono morta il 20 febbraio 2020, perché la situazione è apparsa subito molto grave».
Però non si è scoraggiata…
«All’inizio si è battuta tanto. Daniela è sempre stata indipendente. Perdere la libertà è stato devastante. La malattia ha cominciato a precipitare subito. Si è ritrovata su una sedia a rotelle con gravi problemi fisici impossibili da sopportare».
Ha capito che poteva non farcela?
«Sì. Già da giugno ha cominciato a distinguere tra il piano A e il piano B.
Diceva che se fosse arrivato il giorno in cui non avrebbe più potuto curarsi, doveva scattare il piano B. Io la ascoltavo, ma non volevo pensare che sarebbe accaduto. Speravamo nelle cure e in un miracolo».
Nel video Daniela dice di voler restare libera fino alla fine…
«Mia sorella aveva paura dell’agonia.
Non avrebbe mai voluto diventare un malato terminale».
Parlava di eutanasia?
«L’ho sentita tante volte ripetere: se mi dovessero dire che non posso più essere curata, allora voglio scegliere io come morire».
La malattia è precipitata subito.
«Già da marzo, in pieno Covid, curarsi era un inferno, era difficile prenotare le visite con gli ambulatori chiusi, anche quelli per le visite oncologiche. Abbiamo perso un mese, siamo arrivate all’ospedale Sant’Andrea a fine marzo. Ma la malattia aveva galoppato».
I medici non vi hanno dato speranze?
«A fine maggio abbiamo cominciato a fare le cure, ma gli oncologi dicevano che non avrebbero avuto grossi risultati. Eppure, ad agosto, Daniela ha ricominciato a camminare.
Adorava il mare, ci andava, usciva con gli amici. A settembre aveva ripreso anche a lavorare in smart working… Ma a novembre la malattia è ripartita. A fine gennaio era di nuovo a letto».
Si è mossa per una dolce morte?
«È partito il suo piano B. A fine gennaio ha avuto i primi contatti con la Svizzera e con la Coscioni.
Abbiamo trasmesso i documenti alla Asl Roma 2 e alla Asl di Foggia. Da Roma è arrivato un secco no, dicevano che non era grave al punto da accedere a quella procedura. A Foggia, come mi ha raccontato mia madre, le hanno riso in faccia. E non hanno mai risposto».
La Svizzera invece?
«In un paio di mesi ha ottenuto la luce verde. Per noi era terribile sapere che sarebbe arrivato un giorno in cui avrebbe detto io vado.
Daniela è rientrata in Puglia a fine marzo, ma una Tac ha dato un esito devastante. L’addome era assediato dal tumore».
E lei cos’ha fatto?
«Non ha mai voluto la sedazione. Fino all’ultimo ha cercato di scrivere un libro, che speriamo di pubblicare. Lei le chiamava le mie letterine, per le persone più care. Solo a quel punto hanno chiamato dalla Associazione tumori per le cure palliative».
E le Asl?
«A fine maggio si è fatta viva Foggia.
Volevano capire quanto fosse grave mia sorella, hanno fissato una visita il 7 giugno, ma Daniela è morta il 5. Il direttore della Asl ha detto pensavamo fosse a Roma… e non mi pare eticamente corretto. La verità è che il silenzio è stato assordante».