Corriere della Sera, 17 giugno 2021
Intervista a Cesare Cremonini (parla del suo Lucio Dalla)
La presenza di Lucio Dalla si sente. Non solo perché dietro l’angolo c’è quella che fu la sua casa di via d’Azeglio. Cesare Cremonini è seduto a un tavolino di un ristorante, sul tavolo pane e mortadella («Non capisco come qualcuno possa prescindere da questo») e un bicchiere di lambrusco. La sensazione è accentata da un graffito sulla saracinesca di fronte al locale in cui sono ritratti proprio Lucio e Cesare. La Bologna (e anche l’Italia) della canzone di ieri e quella di oggi si incontreranno anche al cinema. Cremonini debutta alla regia con un film sul cantautore scomparso nel 2012, coprodotto da Tenderstories di Moreno Zani e Malcom Pagani e Papaya Records di Filippo Valsecchi.
Che Dalla racconterà?
«Non sarà una biografia. Mi concentrerò su un momento preciso della sua carriera, quello in cui si separa dal poeta Roberto Roversi e inizia a scriversi i testi da solo. A fine anni 70 Dalla trascina la musica, come aveva fatto Dylan in America, verso una forma di comunicazione sociale ma slegata dalle ideologie, in cui il pubblico è centrale: la privatizza dal punto di vista sentimentale. Questa eredità è un punto di riferimento».
Ha già pensato all’attore? Sente il rischio macchietta?
«È presto. Scriverò il film l’anno prossimo dopo il tour. Era un uomo dalle mille sfaccettature e questo non può ridursi nella ricerca di un attore basso, peloso e calvo».
Ricordi privati?
«Sono legati da rispetto e discrezione. Le sue telefonate erano speciali, ma il ricordo più bello è quello dell’ultima volta in cui andai a trovarlo per un caffè. Prima di uscire sul pianoforte lessi versi scritti a mano. Li riconobbi quando Ron portò a Sanremo “Almeno pensami” nel 2018».
Quanto sono lontani il linguaggio del cinema e quello della canzone?
«Scrivo per immagini sin da quando ero ragazzino e per ogni canzone giro un film immaginario nella mia mente. Ho recitato per Pupi Avati cui voglio bene come un papà. Lo chiamerò: lui con Dalla ci ha pure suonato. Non ho studiato regia, ma qui mi si chiede di usare il mio sguardo e di collaborare con una squadra di alto livello. Io sceglierò le inquadrature, ma alla fine la regia la fa Lucio Dalla».
Il cinema da fruitore?
«Ci vado spesso da solo. Sono tornato in sala appena è stato possibile, con il timore che due anni di piattaforme mi avessero tolto il gusto. Invece due ore senza telecomando sono state un momento di equilibrio».
Solitudine
Per 20 anni ho sofferto la solitudine e la mancanza di confronto: il presente
è fatto di collaborazioni
Il primo film visto per scelta?
«Farinelli – Voce regina a 13 anni. La visione di quello che potesse piacere alla mia fidanzatina dell’epoca non fu lungimirante».
La pellicola della vita?
«A vent’anni 8 1/2 di Federico Fellini cambiò il mio modo di vivere il cinema. Ora sono onnivoro. Il cinema è per me evasione necessaria, dai toni quasi erotici, per fuggire ai riti autocelebrativi della musica».
Come quelli del tour per i 20 anni di carriera saltato nel 2020. Rimpianti?
«Nessun rimpianto anzitutto visto quello accadeva intorno. E poi perché il senso di un concerto è l’incontro col pubblico non l’autocelebrazione. Per l’estate prossima il progetto artistico manterrà la stessa produzione di qualità perché per me non conta solo quando si riparte ma anche come».
Sui social posta indizi sulla lavorazione di un nuovo album... Sarà un disco stile Dalla?
«In un mondo in cui la comunicazione sta prima del contenuto, i progetti di spessore sono un dovere. Il film sarà anche guida per l’album. Oggi un disco deve offrire intrattenimento ma anche una lettura delle contraddizioni della realtà».
La pandemia sta influenzando la scrittura?
«In un primo momento mi ha abbattuto e ha silenziato l’idea di futuro. A gennaio ho fatto uno scatto e rielaborando quello che è successo ne sono uscito con la voglia di esserci e con rinnovata energia. Il disco racconterà il percorso dalla parte oscura alla luce. Durante l’anno ho anche preso scelte professionali rimandate a lungo (ha cambiato manager ndr). Per 20 anni ho sofferto la solitudine e la mancanza di confronto e allora il presente è fatto di collaborazioni: giro per l’Italia con chitarra, pc e microfono per incontrare professionisti e tecnici da cui imparare».