Corriere della Sera, 17 giugno 2021
Il G7, Taiwan e poi gli arsenali di Usa e Cina
Non sembra che Pechino sia rimasta impressionata dai messaggi di avvertimento che le hanno lanciato nei giorni scorsi il summit del G7 in Cornovaglia e il vertice Nato di Bruxelles. Anzi. Per la prima volta, un comunicato finale delle sette maggiori economie democratiche del mondo ha citato direttamente Taiwan, l’isola che il governo cinese vuole prima o poi riportare sotto il suo controllo: il G7 ha voluto sottolineare «l’importanza della pace e della stabilità nello Stretto di Taiwan e incoraggiare la risoluzione pacifica delle questioni dello Stretto», cioè del tratto di mare che separa l’isola dalla Cina. Bene: martedì, da poco finite le dichiarazioni di Biden, Merkel, Macron, Johnson, Draghi, Suga, Trudeau, 28 aerei militari di Pechino hanno fatto incursione nella zona cuscinetto di difesa taiwanese. È stata la maggiore operazione del genere di sempre, secondo le autorità di Taipei. Si sarebbe trattato di 20 caccia, quattro bombardieri (potenzialmente armati di ordigni nucleari), di aerei da ricognizione e antisommergibile. È che la zona attorno a Taiwan e l’adiacente Mare Cinese Meridionale sono diventati, secondo alcuni analisti, l’area più pericolosa del pianeta. Il presidente cinese Xi Jinping ha voluto fare sapere che il ritorno dell’isola alla «madrepatria» non può essere lasciata alle prossime generazioni (si immagina che vorrebbe chiudere la faccenda egli stesso). E nel Mare Cinese l’attività delle navi americane è sempre più intensa, per operazioni ufficialmente finalizzate a garantire la libertà di navigazione. Nell’area i rischi di uno scontro Cina-Usa non sono a zero. A ribadire che la rivalità tra Washington e Pechino è anche nella sfera militare, il gruppo di ricerca svedese Sipri ha appena pubblicato le variazioni della bilancia delle armi nucleari del 2020. Gli Stati Uniti hanno ridotto le testate dalle 5.800 del 2019 a 5.550 ma stanno modernizzando l’arsenale (così come la Russia, che le ha ridotte da 6.375 a 6.255). La Cina, che ha un arsenale atomico meno vecchio, è invece salita da 320 a 350 testate. Anche il Regno Unito ha appena indicato di volere aumentare la sua capacità nucleare: l’anno scorso è passato da 215 a 225 testate e Boris Johnson ha spostato il limite che i governi precedenti avevano posto, 180 bombe, a 260. I summit e i comunicati ufficiali sono insomma importanti. Poi ci sono i fatti.