Corriere della Sera, 17 giugno 2021
Intervista a Giorgia Meloni
ROMA Sceglie una a una le parole Giorgia Meloni, non le usa come coltelli ma quasi come carezze nei confronti dei suoi alleati che – su federazione di centrodestra e partito unico – si stanno scontrando. Lei, la leader di Fratelli d’Italia, forte del ruolo di unico partito d’opposizione ormai al 20% nei sondaggi, non costretto a intese obbligate se non l’alleanza al voto, è serena: la federazione «è una buona idea», il partito unico «implica più rischi che vantaggi». E in ogni caso, non sono scenari che, oggi, «appassionano gli italiani».
Salvini propone una federazione: doveva unire, sta invece dividendo la coalizione.
«L’idea di una federazione fra i partiti che sostengono il governo la trovo intelligente, serve a difendersi dall’aggressione della sinistra che pretende di imporre le proprie politiche in maggioranza. Mi sembra utile un maggior coordinamento, aiuta il lavoro».
Ma a voi non interessa...
«Noi siamo all’opposizione, e avevamo proposto un intergruppo parlamentare. Credo ancora che potrebbe essere utile parlarsi anche da posizioni diverse, perché noi possiamo fare “l’ariete” non avendo il vincolo di fedeltà che lega i partiti di maggioranza. Sul coprifuoco, ricordo, siamo stati noi con il nostro ordine del giorno a consentire il cambiamento».
Il partito unico che propone Berlusconi invece?
«Ho sempre pensato che le specificità di ogni partito siano la forza del centrodestra. Rappresentiamo più del 50% degli elettori: omologare tutto ci farebbe perdere più di quanto potremmo guadagnare. Io ho vissuto l’esperienza del Pdl: dopo lo slancio iniziale, riuscire a conciliare le diverse identità ha portato a scontri e a mediazioni poco efficaci. Il partito unico ha più rischi che vantaggi».
La coalizione
Nel centrodestra abbiamo regole
per cui chi prende
più voti diventa premier, se si vince. Ma non c’è
chi impone la sua linea, chi fa il capo,
chi decide per tutti
Con Berlusconi ha parlato?
«No, non in questi giorni. Conosco la sua idea, è da sempre un grande federatore e lo apprezzo anche per questo. Ma mi sento di consigliare a tutti prudenza in questo dibattito, che agli italiani – alle prese con l’uscita dalla pandemia, la disoccupazione, la povertà, la crisi di molte imprese – può apparire lunare. Come ci organizzeremo non è l’interesse primario degli italiani. Lo è quello che faremo».
Più facile dirlo quando si è all’opposizione con il 20%.
«Lo sento dire spesso: “Meloni lucra sul suo stare all’opposizione”. Quando decidemmo di restare soli però in tanti prevedevano una nostra sparizione. Ed era davvero un’ipotesi in campo. Ma è stata una scelta per convinzione, non per convenienza. Il che non significa non lavorare per la coalizione. Lo si vede dalle decisioni sulle Amministrative: avremmo potuto chiedere un candidato di partito a Roma, abbiamo scelto insieme un civico che è il migliore su cui si poteva puntare. E sempre nell’unità».
Sinceramente: se lo aspettava di arrivare al 20% nei sondaggi?
«Forse no, ma ho sempre detto che sarebbe stato più facile passare dal 5% al 15% che dal 3 al 5. Sono 10 anni che esiste FdI, stiamo raccogliendo i frutti di un grande lavoro. Ci sono stati momenti in cui ho pensato: ho fatto la scelta giusta? Lavoravamo, ma i risultati non si vedevano. Poi piano piano siamo cresciuti e gli italiani, che scelgono sempre un voto utile, dalla simpatia sono passati alla decisione: questo partito mi piace, è serio, lo voto. E crescere è diventato più facile».
Il partito
Forse non mi aspettavo di arrivare al 20% nelle intenzioni di voto, ma ho sempre detto che sarebbe stato più facile passare dal 5% al 15 che dal 3 al 5 FdI ha 10 anni, stiamo raccogliendo i frutti
Si assiste a molti passaggi da altri partiti a FdI: può essere un problema per i rapporti interni?
«Nella coalizione ci sono sempre state persone che si muovevano da una parte e dall’altra, non me ne sono mai fatta un cruccio. L’importante è che il centrodestra sia più forte. Il sindaco di Verona Sboarina veniva da An e poi da una lista civica, è tornato a casa. Non ci muoviamo contro gli alleati, guardiamo a chi è radicato e può fare da “sentinella”, ma per rafforzare il centrodestra».
Lei non vuole sentirne parlare, ma quando si porrà il tema della leadership?
«Davvero è un tema che non mi interessa. Abbiamo regole per cui chi prende più voti diventa premier, se si vince. Ma non c’è chi impone la sua linea, chi fa il capo, chi decide per tutti. Lavoriamo e scegliamo insieme, come si vede alle Amministrative».
In verità, sembra vi siate incartati su certe candidature, Milano per prima.
«Si parla di debolezza del centrodestra, invece è senso di responsabilità. Queste sono Amministrative complesse per noi, si vota in città storicamente di centrosinistra. E proprio perché non ci stiamo spartendo le città col bilancino, è giusto prendersi anche un po’ più di tempo e valutare meglio».
Il governo
I rapporti personali con Draghi possono essere buoni ma i problemi politici restano. C’è ancora troppa continuità con il governo di prima e risposte inevase su imprese e occupazione
Lei resta opposizione, ma il suo rapporto con Draghi sembra molto buono.
«I rapporti personali possono essere buoni, ma i problemi politici restano. C’è ancora troppa continuità col governo precedente, anche se il lavoro di Figliuolo non è comparabile con quello di Arcuri. C’è una pericolosa confusione sui vaccini, c’è il tema della vaccinazioni per i giovanissimi che solleva molti interrogativi. E ci sono risposte inevase su occupazione, imprese, prima ancora che sullo stop ai licenziamenti perché il tema vero sono le imprese che chiudono...».
Risposte che può dare Draghi fino al 2023?
«Credo che dopo l’elezione del capo dello Stato si debba andare subito alle elezioni. Perché siamo una Repubblica parlamentare e le grandi scelte le fa il Parlamento, che non può continuare a essere dominato da M5S e Pd, partiti che non rappresentano affatto la maggioranza del Paese».