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 2021  giugno 16 Mercoledì calendario

La rivincita di Carlo Cattaneo


Il perdente del Risorgimento. Così per molto tempo è stato descritto Carlo Cattaneo, di cui ricorre il 220° anniversario della nascita. Federalista e repubblicano, si trovò di fronte a un’Italia unita centralista e monarchica.
Milanese, di origini piccolo borghesi, il giovane Carlo crebbe nel clima di restaurazione imposto dall’Impero asburgico rientrato in possesso del Lombardo-Veneto dopo la lunga parentesi napoleonica. Prese la licenza al liceo che poi divenne il famoso Parini e si laureò in giurisprudenza a Pavia, allievo del giurista Romagnosi, illuminista e positivista, cui rimase legato per tutta la vita.
Cattaneo era poliedrico: studioso di psicologia, storia, linguistica, economia, ma anche uomo pratico capace di progettare ferrovie. Il sapere per lui non era a compartimenti stagni e l’umanista non poteva rimanere chiuso nella sua torre eburnea di studi classici e filosofici senza contaminarsi con la scienza e le altre discipline. E in effetti negli anni della maturità, dopo un periodo di insegnamento, si diede non solo con successo agli affari ma a una vigorosa attività pubblicistica.
La sua visione trovò compiuta realizzazione nella rivista Il Politecnico da lui diretta tra il 1839 e il 1844 e poi successivamente – dopo una provvisoria chiusur – dal 1860 al 1862. La pubblicazione si occupava di letteratura, storia, filosofia, diritto, architettura, urbanistica, economia, addirittura agricoltura e zoologia. I quarantuno fascicoli del Politecnico devono molto all’estro di Cattaneo che ne era il contributore prevalente e ne diffusero la notorietà in tutta la società colta italiana.
Anche dopo il provvisorio distacco dalla sua creatura, gli anni 40 furono per lui proficui: diventò membro della più prestigiosa istituzione accademica, l’Istituto Lombardo-Veneto; segretario della Società di Incoraggiamento di Arti e Mestieri; pubblicò libri in cui rendeva note le sue visioni liberali in economia e in politica. In quegli anni pensava fosse ancora possibile riformare l’Impero Asburgico e desiderava, insomma, «avviarsi alla libertà per una serie di franchigie, come accadde in Inghilterra e altrove…».
Ma questa sua moderazione non gli impedì di diventare il più intransigente dei commissari di guerra durante le Cinque Giornate di Milano e il vero leader dell’insurrezione, rifiutando compromessi con Radetzky e, paventando una semplice annessione della Lombardia al Regno di Sardegna, spedì una celebre lettera a Carlo Alberto in cui scrisse «Se il Piemonte accorre generosamente, avrà la gratitudine dei generosi di ogni opinione. La parola gratitudine è la sola che possa far tacere la parola Repubblica».
Dopo la vittoria austriaca, Cattaneo riparò prima a Parigi e poi nel Canton Ticino dove visse fino alla fine dei suoi giorni, occupandosi di progetti ferroviari e insegnando al liceo di Lugano. Nel settembre del 1860 fu chiamato a Napoli da Garibaldi come consigliere e naturalmente gli suggerì di non consegnare su un piatto d’argento il Meridione a Vittorio Emanuele, ma di far prima eleggere assemblee democratiche e negoziare un patto federale. Come si sa, non fu ascoltato. Eletto per due volte deputato del nuovo Regno, non si presentò mai in Parlamento per evitare di prestare giuramento al Re e morì in Svizzera nel 1869.
Perché non è vero che Cattaneo fu un perdente? Perché alla fine, a partire dalla seconda metà del XX secolo, le sue idee si sono avverate. Prima di tutto era a favore del libero scambio e riteneva che le barriere al commercio impoverissero. Ebbene, pur tra alti e bassi, dal secondo dopoguerra il mondo intero ha abbassato i muri e l’Europa li ha quasi totalmente abbattuti. I diritti di proprietà andavano per Cattaneo di pari passo con quelli di libertà e, sebbene ancor oggi non completamente garantiti, non sono alla mercé dell’arbitrio del Leviatano. In secondo luogo, l’Italia è veramente diventata una Repubblica, forma costituzionale che all’epoca solo lui e i mazziniani osavano sperare.
Infine, il federalismo non è più sembrato un’eresia: l’unità europea si sta formando con caratteristiche prettamente federali che riposano sul principio di sussidiarietà per il quale lo Stato centrale ha solo quei compiti che le entità federate non riescono a svolgere in modo più efficace. Il federalismo, negli Stati Uniti come in Svizzera, è garanzia di libertà perché comporta decentramento di poteri, e pure in Italia, rispetto alla sua epoca, il decentramento politico ha fatto molti passi in avanti, pur tra pasticci e sovrapposizioni.
Se il metro di giudizio di una figura storica è la sua nobiltà d’animo e l’esattezza delle sue intuizioni, non c’è dubbio che il milanese Carlo fu un vero vincente. —