il Fatto Quotidiano, 15 giugno 2021
I “contribuenti solidali” beffati dalla burocrazia kafkiana
Avete per caso pagato delle tasse o dei contributi che l’anno scorso avreste potuto non pagare? È possibile. La pandemia ha portato anche questa perversione.
L’anno scorso esistevano delle scadenze di tasse di cui, grazie al Covid, avreste potuto rinviare il pagamento. Non era una grande furbata perché tanto, prima o poi, avreste dovuto pagarle lo stesso. Mettiamola così. Voi le avete pagate subito, allo scadere del termine. E non solo perché non sapevate che potevate evitarlo. Ma proprio per spirito civico. Avreste dovuto evitare di pagare le tasse solo perché c’era in giro per il mondo un virus che la faceva da padrone? E così le avete pagate, senza sapere che per il ministro dell’Economia e delle Finanze diventavate un “contribuente solidale”. O meglio: avreste potuto diventarlo.
Avreste potuto diventarlo. Perché a dire il vero per diventare “contribuente solidale” avreste dovuto scoprire un comunicato del Mef, chiedere un apposito modulo e accuratamente riempirlo. Noi italiani siamo fatti così. Abbiamo bisogno di riempire un modulo anche per chiedere un modulo che ci serva per spedire un modulo. Quindi per acquisire il diritto di diventare “contribuente solidale” e soprattutto di essere inserito nell’elenco dei “contribuenti solidali” per far sapere a tutti gli italiani di avere rinunciato a rinviare il pagamento delle tasse, pur potendolo fare, bisognava prima di tutto studiare il decreto Cura Italia n. 18 del 17 marzo 2020 che, all’articolo 71 spiegava come scaricare il modulo, come compilarlo e come inviarlo all’apposito indirizzo certificato contribuentisolidali @pec.mef.gov.it. L’importante era non lasciarsi spaventare dalla burocrazia.
All’indirizzo mef.gov.it c’era spiegato tutto. Per avere diritto a essere inseriti nell’elenco dei “contribuenti solidali” il cittadino interessato doveva dimostrare di aver pagato nei termini stabiliti i tributi essenziali indicati negli articoli 61 e 62 del decreto Cura Italia, un elenco lungo dieci pagine e doveva darne comunicazione al ministero dell’Economia e Finanze. Il tutto doveva essere descritto nel modulo che era diviso in due sezioni. Nella prima bisognava inserire i dati del contribuente aspirate solidale e nella seconda bisognava inserire tutte le informazioni sulle imposte pagate, sulle date dei pagamenti, sugli importi e sui documenti che comprovavano il tutto. Oltre, ovviamente, alla fotocopia del documento di riconoscimento. E alla dichiarazione sulla privacy. Una volta compilato il tutto bisognava spedirlo per via telematica alla Direzione della Comunicazione Istituzionale del Mef.
Semplice no? Entro 30 giorni il vostro nome sarebbe stato inserito nell’elenco dei “contribuenti solidali”, neanche fosse l’elenco dei “Giusti delle Nazioni”. Ma sorge imperiosa la domanda: perché?
Lo spiegava il ministro in persona: “Per fini reputazionali”. Ah be’, allora. Valeva la pena di rischiare. Perché nel caso che i dati fossero risultati errati sarebbe scattata l’immediata rimozione dall’elenco dei “contribuenti solidali” oltre alle “conseguenze che la legge prescrive in caso di dichiarazioni mendaci”. Capito? Contribuenti solidali, cornuti e mazziati.