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 2021  giugno 15 Martedì calendario

A 40 anni dalla Basaglia, il mondo cambia i matti restano

È sempre il dolore, l’incidente, il delitto, il dramma a creare un pertugio, un’apertura, una possibile finestra sul mondo. Quei mondi soprattutto contro versi su cui si reggono utopie, leggende, simboli. Questa volta è il delitto di Ardea a creare una finestra sulla legge 180, per tutti la legge Basaglia, nata nel 1978, voluta, costruita, come baluardo di una cultura che si opponeva alla psichiatria tradizionale creando un movimento di anti-psichiatria. Per Basaglia, l’idea era una visione che poggiava sul terreno fertile degli anni ’70, con le teorie di Goffman, famoso il saggio Asylus o quelle di R. D. Lang con il suo famoso saggio L’Io diviso.
Un movimento che si incrociava alle barbarie dei manicomi, alla visione e al pregiudizio sulla follia, su un’idea utopica dell’inconsistenza e della follia come prodotto dell’esclusione sociale.
I manicomi erano nati come strutture di contenimento che avevano come funzione quella di rinchiudere tutti coloro che soffrivano di patologie mentali perché pericolosi per se stessi e per gli altri. Le battaglie di Basaglia in se stesse erano culturalmente e socialmente esatte, ma fatta la legge, chiusi i manicomi, nient’altro è stato più fatto per dare continuità o evoluzione ad un mondo che necessariamente non apparteneva più alle ideologie, ma a quello più complesso e drammatico della quotidianità, con assenza di cure verso problematiche come la schizofrenia, le psicopatie, le psicosi, tutte quelle gravi forme della patologia mentale che presentano una grande complessità nella gestione dell’inserimento sociale.
La psichiatria in realtà si ferma e si incatena su criteri istituzionali oramai obsoleti, come la farmacoterapia, la difficoltà di gestione dei centri di igiene mentale, come l’abuso e il fallimento dei Tso, trattamenti sanitari obbligatori. Il “matto” non esiste più, non è più isolato dalla realtà, ma starà sempre dentro la sua realtà, abbandonato a se stesso con i propri viaggi mentali, le proprie sofferenze, la difficoltà di accesso a terapie psicologiche alternative agli psicofarmaci. Un mondo ancorato alle proprie sofferenze, dentro case, famiglie, relazioni che cercano nella quotidianità la gestione personale tra affettività o semplicemente indifferenza o impotenza.
Ad Ardea muoiono così due bambini innocenti ed un anziano che tenta di proteggerli eroicamente, una protezione dalla furia violenta ed omicida, quella che nasce da una mente che si frantuma e perde ogni traccia di consapevolezza. La demagogia fa capolino, come sempre, nel nostro Paese, quando si innamora delle idee, magari quelle che sono state in luogo di battaglie politiche e culturali, quelle che non si accetta di guardarle in modo diverso.
La legge 180 ha 40 anni, il mondo è cambiato, ma le gravi patologie mentali restano: un mondo chiuso dentro il silenzio dei Tso, un mondo fatto di pastiglie e della disperazione, quella che in realtà nessuna legge è riuscita a eliminare. La legge Basaglia non è il “tutti fuori”, è diventata il lasciamoli fuori e senza cure, chiudiamo le case dei matti e così la nostra coscienza potrà dire di aver fatto una rivoluzione culturale, ma la malattia mentale non è un problema culturale, ma ben più profondo, che tocca la scomposizione del pensiero e della nostra mente.
Basaglia certamente non avrebbe voluto che andasse così, con un mondo totalmente indifferente verso le sofferenze della mente. Il movimento legato all’antipsichiatria che oramai non esiste più si batteva affinché non ci fossero emarginazioni, giudizi e pregiudizi. Il problema della legge 180 è che si è persa nei rigagnoli delle rigidità utopiche e politiche, perché la strada maestra di questo importante pezzo della società che soffre è che questo mondo non è l’aspetto gioioso di una personalità creativa, ma una sofferenza che produce dolore, angoscia, irrequietezza, alterazione della realtà. L’antidoto non è certamente guardare dall’atra parte.
L’omicidio di Ardea è il prodotto di questa demagogia, dell’incapacità di una famiglia di avere gli strumenti per agire diversamente, le istituzioni producono azioni ma non cure, dove tutto è il contrario di tutto e dove ancora una volta il sistema è tutto sommato rinchiudere non in fortezze, ma in un mondo senza pareti. La legge Basaglia è stata disattesa nei suoi fondamenti, ed è fatale non consentire di rivederla, di renderla diversa, di coglierne gli obiettivi. Salvaguardare la malattia mentale non significa annullarne la sua realtà, ma è necessario non perdersi nel buio della nostra coscienza, della politica nostalgica, ma guardare la quotidianità della solitudine della mente che si frantuma, le angosce e l’impotenza dei familiari, dove alla fine la pericolosità si scatena perché certi tipi di malattia mentale sono imprevedibili, nascono dalla perdita di confini e divisioni reali. Si esce e si uccide senza motivo e senza controllo.
Se le morti di due bambini hanno un senso, è quello di far luce sulla malattia mentale, che vuol dire non ripercorrere lo stesso percorso die manicomi, dove simbolicamente, ancora oggi, la sofferenza della mente continua a non interessare veramente a nessuno. —