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 2021  giugno 15 Martedì calendario

Intervista a Takagi & Ketra



La coppia d’oro della musica italiana è nata «un po’ per caso». Se sette anni fa Takagi & Ketra non si fossero «incrociati», oggi non avrebbero all’attivo oltre 130 dischi di Platino e 1 disco di Diamante tra singoli e produzioni, il contagiri dei loro streaming non avrebbe superato la quota monstre di un miliardo e, senza dubbio, non sarebbero i protagonisti di oggi dell’Artista Day, l’iniziativa di Corriere e Radio Italia che omaggiano una star della canzone per 24 ore (elemento centrale l’intervista esclusiva alle 15 condotta dagli speaker Mauro Marino e Manola Moslehi). Però è successo, quell’incontro, nel 2014, c’è stato.
Lo spiega Ketra: «Sono stato un grande fan dei Gemelli Diversi (di cui Takagi faceva parte) e quando l’ho visto gli ho fatto i complimenti. Lui mi ha risposto che si era innamorato di un pezzo dei Boomdabash. Da lì abbiamo pensato di rivederci, magari in studio, perché no...». Su quel «perché no» hanno costruito il loro sodalizio, diventando produttori tra i più richiesti, specie se si è in cerca di hit.
Il primo successo è stato «Nu juorno buono», realizzata per Rocco Hunt.
Ketra: «Eravamo in un hotel da 50 euro a notte a seguire Sanremo Giovani su uno di quei televisorini appesi in alto... Quando hanno annunciato la sua vittoria ci siamo abbracciati, increduli».
Come funziona la vostra coppia?
Takagi: «Le nostre skills si completano: dove non arrivo io arriva Ketra e viceversa. Ci piace avere un approccio da artigiani o da meccanici, se vogliamo: ogni giorno andiamo in studio, la mattina. E lavoriamo».
In cosa consiste il vostro lavorare?
T: «Non ci sono idee precise, siamo sempre in cerca dell’ispirazione. E quando arriva, cerchiamo di capire quale è la voce migliore per vestirla, spesso facendo noi dei tentativi, delle pseudo imitazioni imbarazzanti...».
Capita mai di essere in disaccordo?
T: «A volte, ma poi ragionando arriviamo a un punto comune. Il risultato è sempre figlio di tutti e due».
Avreste potuto fare quello che avete fatto singolarmente?
K: «Io non avrei avuto nemmeno l’idea di produrre. Quello che funziona è lo scambio tra noi».
Conta la compatibilità caratteriale?
T: «Conta avere la certezza che nessuno dei due è mosso dall’ego o dall’invidia».
Siete considerati i Re Mida delle hit. Ansia da prestazione?
K: «C’è, ma fino a un certo punto. La scommessa è divertirci nel fare quello che facciamo. Ci rendiamo conto che ora c’è una certa aspettativa su di noi: non ci soffermiamo».
Quando scrivemmo«Venere e Marte» pensammo alla voce di Mengoni ma eravamo certi che non l’avrebbe cantata
T: «Per noi funziona il paragone con gli operai. Ci applichiamo con quella dedizione al lavoro più bello del mondo: scrivere canzoni con persone di talento. Siamo contenti per come vanno, ma nessuno ne ha la certezza. Sono hit nazional-popolari ma che incasiniamo sempre un po’: cerchiamo di non rifare la stessa cosa, non andiamo sul sicuro. Ormai di imitazioni di Takagi & Ketra ce ne sono tante: diffidate».
C’è mai stato qualche artista che si avvicina a voi «per fare una hit».
T: «È successo, ma se non si crea la giusta alchimia non ci lavoriamo più».
Il vostro sogno sarebbe collaborare con Vasco: avete una canzone pronta per lui?
K: «No. Siamo così consci della distanza che c’è tra noi da ritenere poco plausibile possa accadere. Sarebbe toccare qualcosa di sacro. Bere una paio di birre con lui ci basterebbe, eccome».
C’è qualche artista con cui avete collaborato e mai lo avreste immaginato?
K: «Marco Mengoni. Quando abbiamo prodotto Venere e Marte abbiamo pensato che la sua voce sarebbe stata perfetta ma che non l’avrebbe mai cantata. Ci eravamo sbagliati. Ma non sulla voce».
C’è qualche hit che avreste voluto produrre voi?
T: «Sì. Quando abbiamo sentito la prima volta “Musica leggerissima” abbiamo detto: questa spacca».
Cosa vi piacerebbe fare in un prossimo futuro?
K: «Un instant-album. Dire: diamoci due mesi e vediamo cosa succede. Abbiamo sempre fatto singoli, potrebbe essere una novità».
T: «La mia speranza è che in futuro si guardi alla nostra musica come qualcosa che sapeva di questi tempi, associata a questi decenni».
A cosa si devono i vostri soprannomi?
T:«A 17 anni ero in Calabria a fare il dj e sul volantino anziché mettere il mio soprannome – Thg – la vocalist aveva scelto questo Takagi. Da lì è rimasto».
K: «Nel mio caso perché erano le uniche lettere che mi venivano bene quando ho cercato di fare graffitaro. Ero negato, infatti quella cosa è durata 5 minuti. Però mi ha lasciato il nome».