Corriere della Sera, 15 giugno 2021
Storia di ragazzi che hanno perso la famiglia perché omosessuali
Le storie di chi perde il sostegno della famiglia a causa dell’orientamento sessuale
Non servono nomi e cognomi. Contano le loro storie, le ingiustizie che hanno dovuto attraversare per aver rivendicato la propria identità di genere. Omosessuali, ragazzi e ragazze in transizione per il cambio di sesso, persone che cercano la via d’uscita dal genere che la sorte ha voluto per loro alla nascita.
«Nella vita – racconta un ragazzo che sta per diventare donna – succede che non tutti i tasselli siano al posto giusto, a me è successo a ottobre del 2020, quando qualcuno ha deciso di prendere il puzzle della mia vita e buttarlo all’aria con tutto il tavolino. Succede che qualcosa, all’improvviso, si rompe. Quando è capitato a me ero con la mia famiglia a bere il caffè dopo pranzo...».
Lui rivela ai suoi chi è e chi vorrebbe essere, «dopo anni di passiva oppressione», dice. Le parole diventano rabbia, confusione, «ma io ho finalmente realizzato che non stavo bene, non mi sentivo accettato, capito, apprezzato». Alla fine del litigio «mi è stato detto di lasciare le chiavi e andarmene. Mi sono ritrovato da solo con la mia valigia, durante la pandemia, senza un euro in tasca».
Altra vita, altra storia nera. «Mi chiamo José, vengo dal Sud America e ho fatto coming out in piena adolescenza. Mia madre ha sposato un italiano quando avevo 10 anni e quell’uomo mi ha fatto da papà, mi ha adottato anche legalmente, mi ha dato una sorellina». Sembrava funzionare tutto «ma a 13 anni, dopo il coming out, sono iniziate intimidazioni fisiche e verbali. Per anni ho subìto, sono finito in Pronto soccorso, ero terrorizzato dalle domande dei medici ma ancora di più da quella violenza incomprensibile a casa, nella mia casa. Che cosa avevo che non andava? La scuola è diventata il mio rifugio, a 18 anni mi sono iscritto all’università. Ma poi è arrivata la pandemia e il 2020 è stato l’anno più difficile. Dopo l’ennesima lite furiosa e gravi lesioni, a dicembre ho deciso di scappare». Le gravi lesioni sono le dita spezzate per le quali il suo patrigno non gli ha mai nemmeno detto «mi dispiace». José se n’è andato e ha ripreso a vivere. «Ho trovato un luogo sicuro e persone capaci di aiutarmi e guidarmi nel riprendere in mano la mia vita».
Casa Arcobaleno
Mette a disposizione alloggi segreti per giovani tra i 18 e i 25 anni
È approdata a quelle stesse persone anche una ragazza che un giorno, dopo il suo coming out e dopo mille tensioni, si è sentita dire da sua madre: «Andiamo a farci un weekend io e te da sole a Milano, così parliamo un po’. Ti va?». Certo che le andava. È salita in macchina sicura che sarebbe stato il weekend della pace. E invece sua madre ha puntato dritto verso la stazione Centrale e arrivata lì le ha detto: «Adesso scendi e vattene. Fatti la tua vita, nella nostra non c’è posto per te».
Non c’era posto nella sua famiglia nemmeno per quell’altro ragazzo, trans oggi in attesa di iniziare la terapia. «Arrivo da quattro anni di dubbi, domande, paure, pianti», racconta. «Non è facile per niente, soprattutto se il coming out non viene accettato da chi ti voleva bene come gli amici. Mi sono ritrovato davanti a un bivio: stare da solo ed essere me stesso o neutralizzare la mia natura e tenere quegli amici. Avevo speso già troppo tempo a rinnegarmi, non ho voluto perderne altro. Ho avuto sensi di colpa, mi sono sentito un peso. Poi una mattina la ruota ha girato, la fortuna mi ha visto e ha pensato che fosse il mio turno: mi hanno chiamato da Milano e sono partito per il colloquio. Qui mi sento al sicuro, sento di poter respirare finalmente».
«Qui» è lo stesso luogo di José e di tutti gli altri. È la Casa Arcobaleno messa a disposizione – a Milano, appunto – dalla Cooperativa Spazio Aperto Servizi. Sono appartamenti a indirizzo segreto che garantiscono un tetto sulla testa a giovani fra i 18 e i 25 anni, quasi sempre italiani, tutti ripudiati dalle loro famiglie per il loro orientamento sessuale. «Un luogo sicuro e con persone capaci» per ripetere la descrizione di uno di loro, una rete di persone che li accoglie, li sostiene, gli offre un tetto e li aiuta a orientarsi nel mondo del lavoro o nella carriera scolastica. Maria Grazia Campese, la presidente della Cooperativa, si dice colpita dal loro dolore, dalla loro sofferenza, ma anche dalla loro capacità di resilienza.
Accettati
«Quello che chiedono queste persone è solo di essere accettate per quello che sono»
In fondo quello che cercano tutti – arrivando spesso senza un soldo né una valigia – è essere accettati per quel che sono, è non sentirsi più dire «avrei preferito un tumore piuttosto che saperti omosessuale», «sarebbe stato meglio se ti fossi drogato» e cosucce di questo genere. Ogni volta che qualcuno bussa alla porta di Casa Arcobaleno gli aprono sapendo già che nelle sue tasche, assieme alla rabbia, al disorientamento e al dolore, c’è anche la voglia di farcela.
José, per esempio. A marzo si è laureato in lingue. «Non dimenticherò mai quel giorno e l’emozione che ho provato durante il collegamento con l’università. Ho capito di essere fortunato e adesso so di non essere più solo».