la Repubblica, 15 giugno 2021
Falsi autenticati. Sgarbi rischia il processo
ROMA —Sulla strada che potrebbe condurre Vittorio Sgarbi al Campidoglio c’è una scivolosissima tappa intermedia. Piazzale Clodio. Sul Tribunale di Roma è planata una storia che rischia di compromettere il futuro politico di Sgarbi (si è candidato alle comunali di Roma come assessore alla Cultura nel ticket di centrodestra Michetti-Matone) e la cosa a cui forse tiene di più: la sua reputazione come critico d’arte. I pm di Roma, infatti, gli contestano di aver autenticato almeno 32 quadri di Gino De Dominicis, maestro marchigiano deceduto nel 1998 e protagonista della scena artistica del Secondo Dopoguerra, che lui – sostiene la procura – sapeva essere palesemente falsi. Su alcune tele, per dire, le pennellate di bianco erano ancora fresche.
Già così ce n’è per scatenare l’ira funesta del vulcanico Sgarbi, punto sull’onore e sulla competenza. Il critico, però, è accusato pure di far parte di un’associazione per delinquere che fabbrica finti quadri di De Dominicis (ma anche di De Chirico, Carrà e Fontana), li autentica grazie a nomi di peso come quello dell’ex sottosegretario berlusconiano, e li vende ai collezionisti. Solo con quelli di De Dominicis il gruppo, che fa capo a Marta Massaioli, ha smerciato opere per dieci milioni di euro. Il valore delle pitture sequestrate supera i 30 milioni. Il compenso di Sgarbi è stato di 170 mila euro.
Un filone minore (ricettazione e falsa autentica, reato questo contestato a Sgarbi) è già finito in un’aula di Tribunale, ma domani è fissata l’udienza preliminare del filone madre sull’associazione per delinquere, dove si deciderà se Sgarbi e gli altri devono andare a processo.
L’inchiesta nasce nel 2012 quando Paola De Dominicis, cugina e unica erede del maestro, si accorge che sul mercato circolano opere apocrife. Con l’aiuto dello studio legale Brunelli di Perugia, segnala ai carabinieri del Nucleo tutela del Patrimonio culturale 118 opere che ritene fasulle e di dubbia attribuzione. La donna indica in particolare un collezionista milanese, Luigi Koelliker, in possesso di numerosi quadri apparsi in un catalogo curato da Vittorio Sgarbi e Duccio Trombadori.
La perizia della professoressa Isabella Quattrocchi attesta la contraffazione di molte delle tele. I carabinieri scoprono che la Fondazione Gino De Dominicis, di cui Sgarbi era presidente e Massaioli vice, è una scatola vuota. «La sede indicata sul sito è inesistente, l’utenza telefonica è il cellulare del marito di Massaioli». La signora Massaioli, agli investigatori dell’arte, non è sconosciuta: condannata a 2 mesi per furto aggravato nel 2003, condannata a 2 anni e 6 mesi nel 2017 per ricettazione e contraffazione di opere d’arte.
Sgarbi dunque viene pedinato e intercettato per mesi. A metterlo nei guai è un incontro tenutosi il 25 giugno 2014 all’hotel Carlyle a Milano, videoregistrato dai militari. Marta Massaioli scende da un taxi trascinando un trolley grigio. Nella hall c’è Sgarbi. Massaioli si siede in ginocchio davanti a lui, tira fuori dal trolley un faldone di certificati di autentica e li sottopone al critico. Il quale, senza smettere di parlare al telefonino, appone la firma. «L’operazione di expertise è avvenuta senza una visione diretta delle opere – scrive il gip che ha disposto nel 2018 l’arresto di due membri della Fondazione – al massimo attraverso una riproduzione fotografica, in maniera del tutto inusuale in una hall di albergo». Eppure sul sito della Fondazione De Dominicis si garantiva: «L’autenticazione è fatta da una Commissione di tre esperti presieduta da Sgarbi e Massaioli che valutano insieme a consulenti esterni...». Nelle intercettazioni dei giorni precedenti non si trova traccia di riferimenti a riunioni della Commissione.
Durante l’"expertise” al Carlyle, Massaioli chiama il gallerista romano Massimiliano Mucciaccia, che un mese prima ha avuto da ridire su tre De Dominicis, perché il suo restauratore si è accorto che la tempera bianca era ancora fresca, «al massimo risalente a un anno prima». E Massaioli lo fa parlare con Sgarbi, per tranquillizzarlo. A quel punto i carabinieri fanno scattare le perquisizioni. Sequestrano 170 certificati, di cui 119 firmati da Sgarbi, «tutti privi di riscontro fotografico dell’opera autenticata». Trovano anche 15 cartelline della Fondazione, compilate a mano. «I certificati erano firmati in bianco e completati poi in relazione all’opera falsa da realizzare», chiosano i magistrati.