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 2021  giugno 14 Lunedì calendario

Perché Dante è padre (anche) delle lingue d’Europa


«Dante padre della lingua italiana». È quasi una formula, di contenuto ed efficacia indiscutibili: prima di lui l’italiano non esisteva, subito dopo di lui ha cominciato ad esistere e ha progredito, attraverso incertezze e sforzi, inarrestabilmente fino a noi. Raramente si può pronunciare un’affermazione, quasi un’equazione, del genere per un’impresa umana, di singoli o anche collettiva; imposta dall’evidenza dei fatti, ormai abbondantemente ricostruiti dagli storici della lingua italiana.
Ma non basta. La conoscenza, magari essenziale, ma ormai obbligatoria per tutti, di altre opere dantesche oltre alla Commedia (magari con il preambolo della Vita nuova e di qualche canzone) ci spinge a dire di più e ad andare oltre i nostri confini. Non si può più ignorare del tutto, a livello di una discreta cultura medio-superiore, l’esistenza dei due trattati danteschi, benché incompiuti – il Convivio e il De vulgari eloquentia – non come opere dottrinarie ma pilastri delle sue convinzioni teoriche e supporti ai suoi propositi operativi. Due testi, elaborati, e lasciati incompiuti, negli anni 1304-1307, nei quali il partigiano impegnato nelle lotte cittadine, il dialogante nelle tenzoni poetiche, s’immerge nelle speculazioni che oggi diremmo antropologiche, sociopolitiche ed estetiche in senso lato e affronta in particolare il tema della natura della lingua, delle sue funzioni, della complessità delle sue forme. E alza lo sguardo verso i suoi processi millenari e sulla sua propagazione nelle terre abitate e conosciute, giungendo a darci anche una prima carta linguistica d’Europa.
Purtroppo, questa informazione sul pensiero linguistico di Dante circola molto poco. Questa parte dell’informazione sul personaggio non entra in modo specifico nelle conoscenze fornite ai discenti: forse viene ritenuta materia troppo complessa o astratta o comunque esorbitante nella proposta del sapere di base. E dire che è solo Dante, il nostro Dante, che a quel livello cronologico si preoccupa di avere, e dare, un’idea dell’Europa linguistica. O forse, questa materia, per quanto connessa alla sua creazione di poesia, più che al docente d’Italiano andrebbe affidata a quello di storia e filosofia, o anche a quello di scienze e matematica, visto che il linguaggio umano è campo, e non da oggi, di studi penetranti dell’antropologia e, oggi in modo specifico, della neurologia. I presupposti per questa diversa collocazione nel quadro epistemologico ed educativo sono anche nell’opera dantesca. Nel De vulgari (I, VIII, 2) l’autore tratta anche del vagare della specie umana (oggi diremmo del Sapiens) nelle terre dell’Europa e dei rationalia guttura (come si fa a non pensare alla conformazione degli organi fonatori umani?) che si abbeverano ai fiumi europei.
Dante attingeva a una varia tradizione di concetti e studi della filosofia antica e soprattutto della letteratura scritturale, agostiniana e isidoriana, ma era spinto a queste investigazioni dal suo obiettivo teorico-pratico ben preciso: la costruzione del concetto di volgare illustre, cioè l’identificazione di una tradizione di lingua scritta, colta, ereditaria del sapere delle culture classiche, viva come lo è anche il conversare delle mulierculae, ma sicuramente adatta a guidare le società mature ed evolute. È un concetto potente, che gli permette di fare ordine nel panorama delle forme e tradizioni delle lingue nei popoli evoluti. Gli permette di distinguere l’area degli usi e delle forme stesse delle lingue in tre subaree: quella del parlare quotidiano, quella, appunto, del volgare illustre, e quella della lingua artificiale di pura grammatica. Badate, si tratta, per lui del latino!
Da guardare con attenzione e senza pregiudizi le traduzioni automatiche
La nozione di volgare illustre gli permette di disegnare il futuro per l’Italia. Ma qui il suo ragionamento investigativo si fa assertivo: per Dante il volgare illustre italiano è già esistente, è quello dei poeti illustri che si sono idealmente riuniti nella «Scuola» dei Siciliani intorno all’imperatore Federico II. Basta riconoscerlo e onorarlo. E, state attenti, dice nell’altra opera (il Convivio), a non attardarvi nell’uso del latino! Lo ha definito, nel De vulgari, lingua artificiale: nell’altra opera lo definisce «sole che tramonterà», «usato sole che a loro [alle migliaia che non lo conoscono] non luce», laddove, il volgare (illustre) per quanto «di biado» le «satollerà».
Il suo e nostro ragionamento torna così alla situazione italiana e, quindi, al merito (termine inadeguatissimo) di Dante nei nostri confronti. Ma, raggiunto il nostro primo ed essenziale traguardo, del riconoscimento della conquista, grazie a lui, del nostro volgare illustre, dobbiamo imprescindibilmente spingere lo sguardo, ancora con la sua guida, al panorama europeo. Le dimensioni e la complessità delle questioni aumentano fortemente. Il traguardo dovrebb’essere, per troppe buone ragioni, la salvaguardia di tutti i volgari illustri. Per questo obiettivo possiamo e dobbiamo rivolgerci a tutte le sedi responsabili: quelle dell’educazione al plurilinguismo personale, nel rispetto delle esigenze e tradizioni delle singole compagini linguistiche; e quelle dell’organizzazione dei servizi di traduzione negli organismi internazionali. Su quest’ultimo fronte bisogna guardare con molta attenzione, ormai e senza pregiudizi, anche alle modalità automatiche, che oggi permettono di ottenere risultati tempestivi e molto migliori di un tempo. Sarà la conoscenza dei meccanismi, o segreti se preferite, dei processi semantici e sintattici già attivi nei cervelli umani, quelli che governano l’uso umano delle lingue, a dover essere trasferita alle macchine. L’obiettivo è quello di salvare la pluralità delle lingue, non quello di sottostare al monopolio di una sola lingua. I veri competenti dicono che è possibile. Che ciò avvenga nell’anno dantesco sarebbe più che augurabile.
L’Accademia della Crusca ha aperto da tempo un dibattito su tutti i piani della questione qui esposta. Se ne discute in questi giorni, e se ne discute abitualmente in molti lavori interni. Se ne discuterà anche nella direzione indicata alla fine di questa nostra riflessione.
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