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 2021  giugno 14 Lunedì calendario

Il M5S filocinese una spina per il Pd


A l di là delle questioni interne al M5S, come la faccenda irrisolta del doppio mandato – tema che interessa i militanti e forse nessun altro –, Giuseppe Conte non ha saputo finora essere chiaro sui rapporti con la Cina.
Argomento, questo sì, di interesse generale. Ieri nella trasmissione di Lucia Annunziata ha dato una risposta che assomiglia troppo a una non-risposta: è necessario coltivare il dialogo con la Cina, anche per “legittimi interessi commerciali”, pur nella “inossidabile fedeltà all’Alleanza Atlantica e all’Unione europea”. Dove è assente ogni riferimento alla tensione politica tra l’occidente e Pechino, di cui si parla come della nuova guerra fredda.
È evidente peraltro che il colloquio organizzato non in un luogo neutro, bensì nella sede dell’ambasciata proprio nel giorno del G7 è nato come iniziativa cinese, giusto per dimostrare che Pechino non è isolata e ha amici in vari settori politici dell’Unione.
Ma forse c’è di più. Tutto lascia pensare che il protagonista dell’incontro, in qualità di amico numero uno della Cina, doveva essere fin dall’inizio Beppe Grillo. Se non fosse così, la defezione “in extremis” dell’ex premier giustificata con “impegni familiari” sarebbe stata improponibile. Quindi non c’è un protagonismo di Conte in politica estera, come avverrebbe se esistesse un’agenda di incontri con ambasciatori e personalità di vari Paesi.
C’è solo un rapporto con la Cina, a prescindere da valutazioni geopolitiche, che vede al centro Grillo e in una posizione subordinata Conte.
Il fatto che questi abbia colto solo all’ultimo secondo l’inopportunità della visita al rappresentante di Pechino e se ne sia sottratto, ha creato uno strano paradosso. Nel senso che il solo Grillo, un privato cittadino, è rimasto a colloquio con il diplomatico come se si trattasse di un “summit” politico.
Evidentemente devono essere molto forti questi “interessi commerciali” che il M5S, nella persona del suo fondatore e con l’assenso di Conte, vuole tutelare. Ecco perché nella visione dei Cinque Stelle (ma non più del ministro degli Esteri, Di Maio) l’Italia dovrebbe collocarsi oltre la Germania, diventando il paese europeo più aperto alla Cina. Vero è che con il governo Draghi questa ambizione non è più realizzabile, tuttavia Pechino ha bisogno di credere che nel Parlamento di Roma ci sono ancora forze fedeli alla vecchia linea e, per quanto possibile, influenti. Grillo e in parte Conte si adoperano per assecondare tale speranza.
Ignorando o fingendo di ignorare che non tutti gli “interessi” cinesi sono compatibili con gli equilibri politici dell’occidente.
A cominciare dalle reti di telecomunicazioni, ma senza trascurare i tentativi di assumere il controllo dei porti: un tempo Taranto, ora Trieste.
Ne deriva che il dialogo con la Cina, propugnato dai Cinque Stelle al di fuori di una sensibilità geopolitica, può infastidire Draghi, sia pure in modo marginale, ma soprattutto è un tema di riflessione per il Partito Democratico. Una delle conquiste della Prima Repubblica dopo decenni tormentati fu la convergenza di quasi tutte le forze parlamentari sulle linee di fondo della politica estera. In base al principio che tale convergenza è il primo mattone della stabilità. Ora invece una forza che è alleata strategica del Pd sembra pensarla in modo diverso e proprio quando si chiede all’occidente di fronteggiare unito i rischi di un confronto internazionale.
Non sarà un punto secondario.