la Repubblica, 14 giugno 2021
Intervista a Davide, l’uomo che da ragazzino fece togliere 16 bimbi ai genitori per una bugia
Davide ha un sorriso disarmante.
All’inizio è un po’ imbarazzato, ma poi si fa coraggio: «Sono pronto». Ha 31 anni, è un ragazzo alto e magro, la voce profonda e gli occhi verde acqua, appena velati da un’ombra scura. Ci incontriamo perché ha deciso di raccontare per la prima volta la sua storia. La sua verità.
Rivelazioni sconcertanti su fatti che hanno distrutto la vita di decine di persone alla fine degli anni ‘90.
Era uno scricciolo biondo quando, nel 1997, le assistenti sociali e la psicologa che lo seguivano iniziarono a fargli tante domande sulla sua famiglia. In quei colloqui Davide raccontò di aver subito abusi sessuali da parte di suo padre e di suo fratello, nella loro casa nella campagna di Massa Finalese, in provincia di Modena. Non solo.
Disse che nei cimiteri della sua zona avvenivano delle strane cerimonie, parlò di messe sataniche in cui i grandi facevano del male ai piccoli.
In cui i bambini venivano violentati ed erano costretti perfino a uccidere altri bambini. I racconti di Davide – il “bambino zero” di questa storia – diedero il via a un’inchiesta che durerà anni, quella sui “Diavoli della Bassa Modenese”. Un’inchiesta su cui “Veleno”, il podcast firmato da Pablo Trincia e pubblicato da Repubblica nel 2017 (su cui Amazon ha realizzato una docu-serie), ha gettato nuova luce. L’indagine, dopo le testimonianze di altre presunte vittime, portò 16 bambini ad essere allontanati dai loro genitori. Alcuni imputati, tra cui i genitori e il fratello di Davide, vennero condannati a molti anni di carcere per pedofilia. Altri vennero assolti.
In ogni caso i genitori non riebbero mai più i loro figli. E una mamma si suicidò.
Prima d’ora Davide non aveva mai rilasciato un’intervista. Ha deciso di farlo «perché – ci ha spiegato – non può più tenersi dentro la verità».
Quando iniziarono i colloqui? E perché?
«Iniziarono quando avevo 7 anni. I miei genitori erano poveri e venni affidato a un’altra famiglia. Ogni tanto però, come prevedeva la prassi, tornavo dalla mia famiglia d’origine.
Una volta vidi mia madre naturale molto triste. E divenni cupo anche io.
Così, quando tornai dalla famiglia affidataria, la donna che poi diventò la mia mamma adottiva mi chiese se fossi stato maltrattato. Ha insistito tanto che alla fine le dissi di sì. Anche perché avevo paura di essere abbandonato, se non la avessi accontentata. Senza rendermi conto delle conseguenze di quello di quello che stavo facendo».
Cosa succedeva durante i colloqui?
«La psicologa Valeria Donati e le assistenti sociali che mi seguivano iniziarono a martellarmi di domande. Ricordo diversi colloqui anche di 8 ore. Non smettevano finché non dicevo quello che volevano loro. Mi chiesero di dire dei nomi e io inventai dei nomi a caso, su un foglio. Per disperazione. Ho inventato che mio fratello aveva abusato di me, che c’erano delle persone che facevano dei riti satanici. Ma non c’era nulla di vero. Mi sono inventato tutto. Perché se dicevo che stavo bene non mi credeva nessuno. A forza di insistere ho detto quello che si vol evano sentir dire».
E cosa successe dopo quei colloqui?
«Vennero convocati altri bambini e anche loro fecero quei racconti. Loro mi dicevano che ero coraggioso, che ero il primo a parlare. “Coraggioso” era la loro parola preferita. Un giorno la psicologa mi fece fare un incontro con gli altri ragazzi, e lei disse che li avevo salvati. Ma io non avevo salvato proprio nessuno. Mi sono sentito morire dentro. Una volta cercò anche di farmi accusare una donna che mi aveva accolto quando ero piccolo, Oddina Paltrinieri. Ma io non lo feci».
Sua madre per prima era convinta che gli abusi fossero reali?
«La mia mamma affidataria era sicura che mi facessero del male, ma non era vero. Mio fratello è andato in galera, ma in realtà eravamo molto legati, avevamo un ottimo rapporto.
Guardavamo la televisione. Non riesco ad accettare di aver detto queste cose sulla mia famiglia. Mi dispiace tanto».
Perché lei era così convinta?
«Secondo lei è impossibile che un bambino possa inventarsi cose del genere. Ma vi assicuro che dopo determinate domande un bambino dice quello che vuoi. Se a un bambino dici dieci volte che i genitori facevano cose brutte, alla fine lui dice, sì, facevano cose brutte».
Cosa ha provato quando è uscito Veleno?
«Quando è uscito Veleno ho sentito il bisogno di chiedere scusa. Mi sentivo in colpa da una vita. Ho voluto riallacciare i rapporti con quello che resta della mia famiglia, i miei fratelli. Visto che i miei genitori sono morti dopo essersi ammalati in carcere. Ma mia madre adottiva ha detto che dovevo scegliere: o noi o loro. E ci sono stato molto male».
Lei è stato ricoverato più volte in questi anni, perché sentiva di non stare bene psicologicamente.
«Mia madre mi ha portato anche dallo psicologo Claudio Foti, a Bibbiano. Anche lui ha provato a farmi dire che avevo subito gli abusi.
E di stare lontano dai giornalisti. Nel mio ultimo ricovero, invece, sono entrato volontariamente. Perché io continuavo a dire che quegli abusi non erano mai avvenuti mentre la mia madre adottiva continuava a dire che invece erano avvenuti e che dovevo farmi curare. Non sapevo dove sbattere la testa e ho chiesto di essere ricoverato per qualche giorno.
Ma invece mi hanno tenuto 41 giorni contro la mia volontà. Un avvocato mi ha aiutato a uscire».
Perché altri bambini parlarono anche loro di abusi e riti satanici?
«Credo perché anche loro furono pressati, martellati con domande infinite».
E perché alcuni di loro, da grandi, continuano ad affermare di essere stati abusati?
«Perché nelle loro menti si è ormai creato un falso ricordo. O perché è difficile raccontare la verità adesso, dopo tanti anni. Hai paura che se la possano prendere con te per tutte le bugie che hai detto. Anche io avevo paura di dire la verità».
Cosa vuole dire a sua madre? E ai ragazzi che sono nella sua situazione?
«Vorrei dire a mia mamma che anche se non mi crede io le voglio bene. Ai ragazzi voglio dire di farsi forza, perché nessuno ce l’ha con noi.
Siamo vittime».
Ora come sta?
«Sono contento, rivedo i miei fratelli. Avevo paura a ricontattarli».
Da quanto non era contento?
«Da quando avevo 7 anni».