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 2021  giugno 14 Lunedì calendario

Intervista a Barbara Pravi


Parigi
È nata in una famiglia di artisti, cresciuta fra i libri. 28 anni (diversi passati a fare la cameriera, rincorrendo il successo), Barbara Pravi è alta un metro e 59, gracile, ma ha una voce potente. Con Voilà ha conteso ai Måneskin la vittoria all’Eurovision, per poi piazzarsi al secondo posto. Nonno paterno serbo, l’altro iraniano, nonna materna ebrea polacca, l’altra ebrea nata in Algeria, Barbara è prima di tutto molto parigina. Cantautrice, più complessa oltre la patina retro mostrata a Rotterdam.
Cosa esprime nel testo della sua canzone?
«Sono sei, sette anni che faccio musica; ho già scritto canzoni per gli altri e per me, ma tutto finora era rimasto abbastanza confidenziale. Voilà è come quando s’incontra qualcuno in un bar per la prima volta. Racconto chi sono».
La interpreta con molta passione…
«Mentre la canto, non mi ritrovo mai nel dolore. Anzi, provo una sensazione di grande libertà. È come se mi abbandonassi completamente alla melodia e alle parole. Ma alla fine sono sfinita».
È vero che si sveglia presto la mattina e comincia subito a scrivere?
«Da quando avevo 12 anni, tengo un diario. Mi sveglio e faccio subito della scrittura automatica, metto giù quello che mi gira per la testa. Mi capita di attingere lì per scrivere le mie canzoni».
Conosce l’Italia?
«Sì, l’ultima volta vi sono stata tre anni fa, in auto, e sono arrivata fino a Napoli».
Le è piaciuta?
«Tanto, in quelle stradine avevo l’impressione di ritrovarmi in un film del genere Fast and Furious. Parlo forte come gli italiani: li adoro, perché sono molto simile a loro. Uno dei miei brani preferiti in assoluto è Mi sono innamorato di Te (ndr, inizia a cantarla), di Luigi Tenco. L’ascolto almeno una volta al giorno».
Che cosa le piace di questa canzone?
«C’è tanta luce ma anche una profonda richiesta di amore e la tristezza».
Le piace leggere?
«Anche troppo, talvolta sono asociale. Resto chiusa a casa a farlo per ore. Uno dei libri che ha segnato la mia vita è L’arte della gioia, di Goliarda Sapienza».
Perché?
«Modesta, la protagonista e alter ego dell’autrice, è l’illustrazione perfetta di un umano imperfetto e di una donna imperfetta. Vuole uccidere, tradire, ma al tempo stesso sa fare del bene. E ama».
All’Eurovision ha vinto una canzone in italiano e seconda è arrivata lei con una in francese. Per il resto, la maggior parte degli artisti si è esibita in inglese. Cosa ne pensa?
«Cantare nella propria lingua non è la scelta più facile. E allora, quando si riesce a vincere, che siano i Måneskin o la sottoscritta, è una vittoria assoluta».
La canzone della band italiana è molto diversa dalla sua. Le piace?
«Non ascolto per nulla il rock. Ma ho imparato ad amarli. E li trovo incredibili in scena. Vorrei vederli in concerto: deve essere folle. Mi piace molto la loro canzone. Mi sa che amo il rock italiano…».
Dopo la vittoria dei Måneskin, è scoppiata la polemica. Si accusava Damiano di essersi drogato in diretta, ma è arrivato il test negativo a provare il contrario. Intanto sulla rete si diceva qualsiasi cosa…
«I social si sono impossessati della storia e ne hanno fatto quello che volevano, senza che io o i Måneskin avessimo chiesto niente a nessuno. Sono arrivati a dire che li avevo accusati di essersi drogati… Non era vero. E hanno cominciato a dirmi: ma se loro sono squalificati, significa che tu sarai la vincitrice. Io non avrei mai accettato il primo posto. Qualsiasi cosa abbiano fatto, e questo non mi riguarda, il pubblico ha amato il loro brano e lo ha eletto vincitore. Hanno vinto e basta. Poi, io sono superammiratrice dei Måneskin. Hanno poco più di vent’anni. Sono così uniti, si vede. Fanno una musica molto precisa. Io alla loro età non ero capace di fare un quarto di quello che fanno».
Da quattro anni, ogni 8 marzo, lei interpreta un suo testo per la festa delle donne e lo posta sui social. L’anno scorso è stato «Chair» (Carne), un brano molto forte…
«Riguarda l’aborto e si basa su un’esperienza personale.
C’è voluta una buona dose di coraggio…
«No, è stata una necessità. Ma ci ho messo cinque anni, prima di trovare le parole giuste. Lo stesso per un’altra canzone sulle violenze coniugali. Pure quella è autobiografica, il titolo è Malamour (Malamore). Se si vivono esperienze traumatizzanti, si passa attraverso la rabbia, poi il disgusto e il senso di colpa. Per scrivere un testo giusto, bisogna lasciar passare il tempo. —