La Stampa, 14 giugno 2021
Intervista a Luigi Di Maio
Ci fu un tempo in cui decrittare i 5 Stelle era piuttosto agevole. «Che pensate, ragazzi?». «Vaffanculo». «Volentieri, grazie». Certo, lo si poteva considerare un messaggio leggermente generico e poco sofisticato, ma era difficile discuterne l’efficacia. Il Palazzo non ci piace. Lo radiamo al suolo e lo facciamo occupare dalla gente comune (qualunque cosa voglia dire) che certamente è meglio dell’orrida casta (qualunque cosa voglia dire). Adesso il Palazzo piace parecchio, ma per capire dove vada quel che resta del Movimento serve la stele di Rosetta del democristianismo-forlaniano 4.0. I due leader di fatto sono maestri naturali del centrismo ultraflessibile, integrato dai prodigi opachi della democrazia da tastiera. E mentre il fu Avvocato del Popolo Giuseppe Conte dà la caccia alla complicata consacrazione girando di un grado la testa a sinistra, il ministro degli esteri Luigi Di Maio, più incline a muoverla di un grado a destra, in questa intervista, racconta l’ultima sorprendente trasformazione del Nuovo in Cerca d’Autore.
Ministro Di Maio esiste ancora il Movimento 5 Stelle?
«Prendo la domanda come una provocazione». (ride)
Lo è fino a un certo punto.
«Allora le dico seriamente che siamo l’unica forza politica che ha fatto parte degli ultimi tre governi, contribuendo in modo significativo a ottenere i risultati che cominciamo a vedere. Penso alla gestione della pandemia, alle proiezioni di crescita economica al 4% o ai dati record sull’export. Penso anche alla capacità di mettere al centro dell’agenda Draghi il tema della transizione ecologica di cui in questi giorni si è discusso al G7 e di cui si discuterà ancora al G20 di Napoli».
Conte I con Salvini, Conte II con Zingaretti, Draghi I con l’avanti-tutti. Siete un abito buono per qualunque stagione.
«Siamo cambiati senza mai rinunciare a noi stessi, soprattutto ai nostri valori. Rappresentiamo quella parte del Paese che ha più bisogno del cambiamento, il ceto medio che paga le tasse, che non si tira mai indietro e che porta ogni giorno sulle spalle il peso della collettività. Noi parliamo a loro e lo faremo ancora a lungo».
Dieci anni fa volevate radere il Palazzo al suolo.
«Lei ovviamente esagera, ma avere acquisito una cultura di governo significa farsi carico delle responsabilità, non prenderne le distanze. Per ottenere risultati utili ai cittadini servono nobili mediazioni».
Nobili?
«Esatto. Non al ribasso».
Comunque mediazioni.
«Sì. Dieci anni fa era una parolaccia. Oggi non più. I cittadini vedono che il centrodestra è diventato destra e non è più in grado di combattere le loro battaglie. Noi vogliamo tutelare le imprese, le professioni dimenticate, le partite Iva. E crediamo nella riforma fiscale e in quella della giustizia. Tutti temi che non possono essere affrontati in modo ideologico».
Democristiani, appunto.
«No. Siamo anche noi figli di quel ceto medio che paga le tasse per tutti e di cui non si occupa più nessuno».
Le piace il nome “5 Stelle ConTe”?
«Parlo con Conte continuamente e non mi risulta che ci sia in cantiere il cambio di nome. Mi risulta invece che ci sia in atto un tentativo per fare finalmente del Movimento una forza responsabile, organizzata e ragionevole. Uniti possiamo raggiungere l’obiettivo».
Responsabile, organizzata e ragionevole. Il contrario del beppegrillismo.
«Beppe rappresenta la creatività. Le sue idee sono sempre avanti 20 anni. Lui è la mente e lascia volentieri l’organizzazione agli altri”.
Grillo La Mente dice: vietato togliere il limite dei due mandati.
«È una questione di cui si sta occupando Conte e io sono l’ultima persona che ne può parlare. Faccio il ministro degli esteri e servo il Paese dando il meglio di cui sono capace. Quando il popolo mi dirà di farmi da parte smetterò di servirlo».
Se il popolo lo facesse davvero?
«Cosa, darmi il benservito? Prima o poi capita a chiunque. Neanche le dittature restano vita natural durante».
Chi ha deciso che Conte è il leader del MoVimento?
«Le leadership non nascono solo dall’atto del voto. Sono anche un processo di avvicinamento. E Conte gode di un largo consenso sia interno che esterno. Una legittimazione che è già nei fatti presto diventerà anche formale».
Non è lei il vero leader?
«Questa è una vecchia storia. Io sono stato messo in contrapposizione con tutti. Da Di Battista a Casaleggio padre, da Grillo a Casaleggio figlio. Adesso è la volta di Conte. La verità è che il Movimento è la mia casa e io al Movimento sarò sempre leale. Il consenso di cui godo non sarà mai contro, ma soltanto per».
Non esistono già due Movimenti, uno che prova a parlare alle imprese del Nord e l’altro, guidato da lei, che parla al Sud?
«Il Movimento ha sempre parlato a tutti. Durante la campagna elettorale del 2018 sono stato più al Nord che al Sud. Ovviamente io vengo dal Sud e mi batto per fare crescere una terra dimenticata da sempre. Se trascuriamo il Sud d’Italia – o meglio: i Sud d’Italia – non ripartiremo mai».
La sua lettera al Foglio sul rifiuto del giustizialismo e le scuse all’ex sindaco di Lodi, Uggetti, segna la linea di confine tra il movimento aggressivo-distruttivo a quello riflessivo-governativo?
«Quella è stata prima di tutto una riflessione personale. Resta che, confermando tutto quello che ho scritto, respingo al mittente le strumentalizzazioni che sono seguite. Già 5 anni fa, nella piazza di Lodi, capivo che c’era qualcosa di ingiusto e ho avvertito la necessità di dirlo. Così come dico che, se fossero confermate le cose che sto leggendo sui giornali, anche il caso Eni, su cui il Movimento è stato particolarmente presente, deve spingerci a una riflessione».
Cioè?
«Cioè che il punto non è chiedere le dimissioni di qualcuno per motivi di opportunità, il punto è spesso il modo in cui lo si fa».
Il centrodestra a Roma presenta il ticket Michetti-Matone.
«Evidentemente lavorano anche loro per Virginia Raggi. Hanno fatto summit e discussioni infinite, sembravano indecisi fino all’ultimo istante. Noi siamo tutti con Virginia, sicuri che serva continuità nell’azione amministrativa».
Il Pd a Roma chiede a gran voce la discontinuità.
«Non sono vicende che seguo personalmente, ma è evidente che dove ci sono sindaci uscenti che possono ricandidarsi l’accordo è più difficile».
Quale futuro immagina per il sindaco di Torino Chiara Appendino?
«Chiara ha dato molto. Spero che abbia uno splendido futuro nel Movimento. L’esperienza da sindaco è un tesoro raro custodito da pochi di noi».
Il sindaco non lo vuole più fare nessuno. Molti rischi, pochi soldi.
«Il livello di difficoltà che coinvolge il loro lavoro è clamoroso. Serve una grande discussione sulla tutela degli amministratori locali. Noi ministri stiamo qui a Roma super-protetti, loro stanno in trincea esposti a qualunque attacco. Non è né giusto né normale».
Ministro, Alessandro Di Battista ha posto una condizione per rientrare nel Movimento: far cadere il governo Draghi.
«Anche se è uscito dal Movimento il mio rapporto con lui è rimasto ottimo. Ma per rispondere vorrei riprendere un concetto che esprimevo prima: la proiezione di crescita economica, dopo tre anni con noi al governo, supera il 4%, l’export è a livelli mai visti prima e l’occupazione riparte. Il Movimento è cambiato anche per raggiungere questi risultati. È il momento di rivendicarlo».
Il G7 ha chiesto alla Cina la verità sul virus a Wuhan.
«Per evitare qualunque sospetto è giusto affidarsi a un’indagine chiara. Detto questo mi rassicura pensare che cominciamo a vedere la luce alla fine del tunnel e che a settembre, presumibilmente, raggiungeremo l’immunità di gregge e cominceremo a uscire davvero da questo incubo».
Abbiamo sbagliato a firmare il memorandum d’intesa sulla via della Sete?
«Quel memorandum è stato firmato a metà del 2019 e vedo che ora è al centro di un grande dibattito. Io mi limito a osservare che i dati dell’export italiano verso quella parte del mondo sono in crescita spaventosa. E vi invito a chiedere alle nostre aziende che cosa ne pensano».
Lo prendo per un no.
«Ribadisco. Chiedete alle nostre aziende».
Stiamo con Washington e Bruxelles senza se e senza ma?
«La nostra alleanza sui valori non è discutibile. E con l’avvento della presidenza Biden l’accento su questo tema è ancora più forte e condiviso. Con i cinesi abbiamo un rapporto franco sulle attività commerciali».
Ministro, lei è vaccinato?
«Non ancora, sto aspettando il mio turno in Campania».
Quale vaccino farà?
«Quello che mi diranno di fare».
Su AstraZeneca la comunicazione del governo è stata imbarazzante. E per qualcuno addirittura pericolosa.
«Persino la Food and drug administration americana ha bloccato alcuni vaccini dopo averne visto gli effetti collaterali. La verità è che tutto il mondo si è mosso in fretta cercando di fare il meglio possibile, raggiungendo in un lasso di tempo ragionevolmente breve risultati straordinari. Ciò detto è ovvio che è necessario esprimere tutta la vicinanza di cui siamo capaci a chi ha perso i propri cari. Noi ci siamo sempre affidati alla comunità scientifica. E continueremo a farlo. Perché è la strada giusta». —