Robinson, 12 giugno 2021
La trilogia di David Peace sul Giappone
Il prezzo pagato dalla Germania nella Seconda guerra mondiale è noto: la divisione in due del suo territorio per quarantaquattro anni, metà del quale sotto il controllo dell’Unione Sovietica. Meno conosciuto da noi europei è il prezzo pagato dal Giappone: alla fine del conflitto l’intero paese rimase sotto occupazione americana fino al 1952.
L’intento del generale Douglas MacArthur, che governò il Giappone per quel lungo periodo, era duplice: da un lato punire i responsabili della politica nazionalista che aveva portato l’Impero del Sol Levante ad allearsi con Hitler e Mussolini; dall’altro avviare la costruzione di una democrazia che potesse diventare, come Germania e Italia, un alleato degli Stati Uniti. Insieme agli aspetti positivi, tuttavia, l’occupazione ne ebbe di fortemente negativi: migliaia di donne furono stuprate dalle truppe americane; un enorme sistema di prostituzione di stato venne organizzato a beneficio dei 300 mila soldati americani rimasti in Giappone; crebbero l’alcolismo, la criminalità e la disperazione sociale.
Il giorno in cui l’occupazione finì, l’Asahi Shimbun, maggiore quotidiano giapponese, la paragonò a” un’era coloniale”; e nel 1960 lo stesso MacArthur, ricevendo la massima decorazione dal governo indipendente di Tokyo, espresse il suo «fermo scetticismo sull’utilità» di una prolungata occupazione militare straniera a scapito delle autorità civili nazionali.
È in questo scenario che David Peace ambienta Tokyo riconquistata, ultimo volume della sua trilogia di romanzi sul Giappone, dove il 54enne scrittore inglese era andato da giovane a insegnare la lingua di Shakespeare e si è poi fermato a vivere con la moglie giapponese e i figli. Il violino di narratore di Peace ha molte corde. Si è affermato con Red Riding Quartet, quartetto di thriller ispirati allo” Squartatore dello Yorkshire”, un omicida seriale realmente esistito. Quindi ha scritto due saggi sul calcio diventarti dei classici, uno sul Leeds, da cui è stato tratto il bel film Maledetto United, l’altro sul Liverpool. Ma forse ha raggiunto la piena maturità con il trittico sul Giappone, anch’esso ispirato da fatti di cronaca realmente accaduti. Il primo, Tokyo anno zero, è basato sulla storia di un serial killer. Il secondo, Tokyo città occupata, parla di un pittore accusato di un avvelenamento di massa. Il terzo, pubblicato ora in Italia dal Saggiatore, che con l’occasione ripubblica anche i primi due titoli della serie, esamina la misteriosa scomparsa del capo delle ferrovie giapponesi, Sadanori Shimoyana, il cui cadavere viene ritrovato lungo i binari, apparentemente stritolato da un treno, in quello che potrebbe essere un suicidio o un omicidio.
A indagare è chiamato un detective della polizia americana, Harry Sweeney, che finisce inizialmente” lost in translation”, ovvero non ci capisce molto. Quindici anni più tardi, all’epoca delle Olimpiadi di Tokyo del 1964, apertura di una nuova pagina di progresso e benessere per il Giappone, tocca a un ex poliziotto giapponese, ora investigatore privato, Murota Hideiki, frugare nel passato e cercare di capire cosa è veramente successo in quell’harakiri o delitto che ha scioccato la nazione durante l’occupazione americana. Ma per la soluzione definitiva bisogna aspettare ancora più a lungo, fino al 1988, quando l’imperatore sta morendo e Donald Reichenbach, un traduttore e intellettuale innamorato di Tokyo, alter ego letterario dell’autore, si ritrova a fare i conti con i segreti dell’occupazione in un Giappone diventato ricco e potente.
Vivevo a New York, in quegli anni in cui le aziende nipponiche conquistavano il mercato Usa con automobili, televisori, tecnologia. Gli opinionisti americani commentavano: «Li abbiamo sconfitti in guerra e loro hanno vinto la pace». Ma dall’America era difficile vedere il prezzo di un boom economico costruito sulla bomba atomica, sull’umiliante sconfitta militare, sull’occupazione straniera.
Il noir di Peace è l’occasione per capire il rovescio della medaglia, attraverso un viaggio allucinante dentro una Tokyo ferita, coperta di macerie, tenuta in ginocchio dai vincitori, le cui strade sono invase da un’umanità dolente, le notti dominate dai traffici del mercato nero e dalle lotte della Yakuza, la mafia contro cui la polizia è impotente o complice. Una meditazione amara e malinconica sui compromessi, le menzogne e le vittime sacrificali che sono state le fondamenta di una nazione moderna e pacificata, sotto la cui facciata si agitano fantasmi feroci ed inquieti. «Goccia dopo goccia– scrive lo scrittore – un liquido scuro trasudava dalle sbarre della presa d’aria: perle nere, color inchiostro o color olio, che scendevano lungo il muro, nella luce aspra della lampadina nuda, e diventavano rosse, di un rosso scuro color rubino».