Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  giugno 13 Domenica calendario

Ritratto di Nathan Englander

Quando ho conosciuto Nathan Englander era un giovane di trent’anni che portava i lunghi capelli ricci fin sotto le spalle. Era lo scrittore del momento: il suo magnifico libro di esordio Per alleviare insopportabili impulsi era diventato un caso internazionale, e lui appariva sbalordito dall’attenzione che gli riservava la critica di ogni parte del mondo. Ero stato incaricato di intervistarlo, e rimasi subito colpito dallo straordinario senso dell’umorismo, l’intelligenza eclettica grazie alla quale faceva continuamente collegamenti inaspettati, e il modo di parlare velocissimo, che spesso mi rendeva incomprensibili alcune battute. Non so cosa scattò durante quell’intervista, ma alla fine del colloquio capimmo che era nata una preziosa amicizia, che dura tuttora. In realtà l’inizio delle nostre frequentazioni avvenne in seguito, perché subito dopo quel primo incontro, Nathan si trasferì a vivere in Israele. Quando lo rividi, cinque anni, dopo riconobbi subito l’intelligenza spiazzante e la parlata velocissima, ma aveva i capelli cortissimi: «Non potevo continuare a portarli così lunghi una volta superata l’età di Cristo». Quella battuta fu l’inizio di una lunga serie di conversazioni, che continuano tuttora, sulla religione: Nathan ha al riguardo una posizione incerta e tende a non credere, tuttavia confessa che ogni volta che si trova tra le mani una Bibbia la bacia e poi la ripone con grande cura: «Non è solo rispetto, ma la convinzione di trovarsi di fronte a qualcosa più grande di noi». Rigetta con forza ogni forma di fondamentalismo, perché, per usare le sue parole, «la vita è più varia, più ricca e misteriosa di quanto potessi immaginare all’interno di quegli insegnamenti, e ritengo che il fondamentalismo sia come l’alcolismo: un eccesso assolutamente pericoloso. Quando sono andato via da Israele, decidendo di tornare a vivere a New York, sapevo bene che avrei trovato anche in America fenomeni di fondamentalismo, ma in questa nazione c’è la religione della libertà, ecco perché non riesco ad accettare i riferimenti a Dio di chi è chiamato a governare il Paese».
Nathan ha un sincero interesse nei confronti del cristianesimo: mi ha raccontato che è rimasto molto commosso quando Giovanni Paolo II definì gli ebrei come «fratelli maggiori» e ha studiato il concilio Vaticano secondo. Ed è poi folgorato dall’inizio del Vangelo di San Giovanni, che ritiene il più bell’incipit di tutti i tempi: «In principio era il Verbo. E il Verbo era presso Dio. E il Verbo era Dio». Quando gli chiedo se l’ammirazione sia da scrittore o da uomo di fede, mi confessa: «A volte mi chiedo se ci sia differenza. E in generale della Bibbia amo la capacità di parlare del linguaggio dell’eternità».
Proviene da una famiglia ortodossa di Long Island, e la sua decisione di abbandonare la religione ha generato un trauma «a cominciare da mia sorella, che tuttora osserva ogni singolo rito con una fede assoluta». Un giorno gli chiesi come vivesse questo rapporto ambivalente con la fede e lui mi rispose: «Mi sento di essere una persona che si è spogliata di tutto, ne prova eccitazione, ma forse non sa come relazionarsi con la propria nudità». Io provai a insistere chiedendo «Ma credi in Dio?». E lui mi disse: «Non lo so… Sarei portato a dire di no, se non avessi paura di una sua reazione». Subito dopo però si fece serio e raccontò: «Sono cresciuto secondo rigorosi insegnamenti spirituali, e da piccolo ritenevo che quella fosse la fede. Ripetevo meccanicamente per ore le preghiere che ancora conosco a memoria, ma non ne capisco il senso, finché a un certo punto ho capito che si trattava soltanto di un rito, almeno per me. Devo aggiungere però che ritengo che quei testi sacri sono i più belli mai scritti, e chiunque abbia scritto la Bibbia è Dio».
Da qualche anno si è trasferito a vivere a Toronto insieme alla moglie Rachel, due figli e un cane, e racconta che «uno dei pochi privilegi della vita di scrittore e che non si è legati a un posto fisso in un unico luogo geografico». È uno degli autori più amati dagli altri scrittori: era un suo ammiratore Philip Roth, che rivedeva nelle sue pagine l’umorismo di Gogol, e non era meno entusiasta David Foster Wallace, come anche una serie di autori della stessa generazione: Jeffrey Eugenidis, Colum McCann e Zadie Smith. Ama profondamente il cinema, ed è ossessionato dai film con le teorie del complotto. Non riesce a resistere a ipotesi di verità alternative a quelle certificate dalla scienza o dalla verità fattuale, e si diverte come un bambino a sentire le ipotesi più improbabili su famosi episodi storici, a cominciare dall’omicidio di John Fitzgerald Kennedy. Tuttavia, se dovesse scegliere qual è il film nel quale si riconosce maggiormente, è certamente Il Maratoneta di John Schlesinger, che conosce a memoria: si identifica con il personaggio di Dustin Hoffman, il giovane ebreo coinvolto in una storia molto più grande di lui e finisce per essere torturato da un criminale nazista, ispirato a Joseph Mengele. Ne parla spesso, citando con un misto di orrore e fascino la scena in cui il criminale, interpretato da Laurence Olivier, è costretto ad andare nella 47ª strada, dove si trovano i negozi di gemme preziose di proprietà di ebrei ortodossi, e poi quella della tortura a Dustin Hoffman mentre chiede: «È sicuro?». «Ci sono tutti i miei incubi ricorrenti in queste sequenze». E spiega: «L’impossibilità di dare una risposta a una domanda assurda, il trovarsi faccia a faccia con il male assoluto e la possibilità che il male stesso arrivi nel tuo mondo». Dietro l’umorismo sferzante e spesso provocatorio, Nathan rivela in realtà anche un animo romantico e un grande anelito spirituale. Poco tempo fa abbiamo parlato ancora una volta di religione, e quando gli ho chiesto cosa pensasse di ciò che viene dopo la morte, mi ha risposto: «Non lo so, ma se mi chiedi dove si trova in questo momento mio nonno, dico "in paradiso"».