Specchio, 13 giugno 2021
Al Qaeda preferisce i Bitcoin
Nel suo regno del terrore a Mosul e Raqqa, il califfo Abu Bakr al-Baghdadi aveva lanciato il dinaro d’oro, moneta che richiamava la gloria dei califfati medievali. Un ritorno al passato durato un battito di ciglia. Oggi i jihadisti guardano avanti e sono sedotti dalle criptovalute, che promettono guadagni sensazionali e mettono al riparo dai controlli di Stati e polizie. È soprattutto Al-Qaeda ad aver messo gli occhi sulle opportunità che offrono Bitcoin e compagni. La rivista digitale Lupi di Manhattan, gestita dal gruppo fiancheggiatore Jaysh Al-Malahim Al-Electroni, cioè esercito delle battaglie elettroniche, attivo in Siria, ha dedicato il suo secondo numero alle valute virtuali e ha promesso una taglia da 60 mila dollari in Bitcoin al primo lupo solitario che ucciderà un poliziotto in un Paese occidentale. Il pagamento in Bitcoin, secondo i terroristi, è il metodo più sicuro per evitare di essere identificati, e Francia, Italia, Gran Bretagna e Germania le nazioni da colpire, vista anche la "turbolenza sociale" che facilita i possibili attentati.
Le forze di sicurezza occidentali si sono finora concentrate sui gruppi criminali, come trafficanti di armi e droga, che sfruttano le caratteristiche di Bitcoin e affini per concludere affari al riparo da sguardi indiscreti. Ma per esperti di antiterrorismo come l’istituto Memri, con sede a Washington e che monitora i media arabi vicini ai jihadisti, è arrivato il tempo di considerare la minaccia che arriva da Al-Qaeda e altri gruppi mediorientali. Già «dal 2019» i jihadisti hanno cominciato a utilizzare in maniera massiccia le criptovalute per il proprio finanziamento. I terroristi chiedono soldi a simpatizzanti e fiancheggiatori per l’acquisto di «armi ed equipaggiamento militare» oppure «cibo e altre necessità di base delle famiglie dei combattenti». E i pagamenti in Bitcoin sono uno strumento privilegiato, considerato «semplice e sicuro».
Chi non resta convinto, però, è proprio l’Isis. Dopo gli articoli sulla rivista qaedista Lupi di Manhattan, ha risposto con una lunga dissertazione sulla propria Orizzonti elettronici, pubblicata in arabo, francese e inglese, dal titolo "Non fatelo. È un rischio per la sicurezza". Per i seguaci del nuovo califfo Abu Ibrahim al-Qurashi le transazioni in Bitcoin sono in realtà «monitorate dai governi» e forniscono informazioni su chi utilizza la criptovaluta, e quindi si corre il rischio di «esporre» i militanti dello Stato islamico. Meglio i vecchi dinari d’oro del defunto califfato.