Specchio, 13 giugno 2021
Quando a Nantes eravamo negrieri
Le facciate bianche dei palazzi dell’isola di Feydeau si succedono con i loro balconi in ferro battuto, gli stucchi settecenteschi. E quegli strani mascheroni scolpiti nella pietra. Raffigurano divinità greche propizie al commercio marittimo, che fece la fortuna di Nantes, la città francese sbocciata sulla Loira, a una sessantina di chilometri dall’Atlantico. Si riconoscono Nettuno, il dio del mare. O quello del vento, Eolo. Ma alcune delle facce appaiono più inquietanti e misteriose: labbra carnose, naso schiacciato, le fattezze caricaturali di donne e uomini neri. Un primo indizio di una verità nascosta, imbarazzante.
L’età d’oro e le sue ombre
A 500 metri di lì si erge il castello dei duchi di Bretagna. E al suo interno, il museo della storia di Nantes mostra una serie di cimeli del Settecento, l’epoca d’oro di questa città, allora una delle più ricche d’Europa. Ci sono anche i due ritratti di una coppia di benestanti, Dominique e Marguerite Deurbroucq. Lui in giacca di velluto e intorno i mobili Luigi XV, lei in compagnia di un pappagallo grigio del Gabon, allora l’uccello di compagnia della buona società, il caffè nella tazzina di porcellana e lo zucchero che straborda da un vasetto. Sfizi di nuovi ricchi... E non finisce qui: Dominique si ritrova accanto un ragazzino nero in livrea rossa. Marguerite, una ragazzina nera, con i capelli crespi stretti da un foulard bianco. Sì, gli indizi per intuire una realtà storica c’erano tutti. Eccome.
Un secolo e mezzo di oblio
Eppure, almeno per un secolo e mezzo, si è depositato uno strato di oblio sul fatto che «Nantes fu il primo porto della tratta dei neri in Francia e uno dei principali del mondo – ricorda Bernard Michon, professore di storia moderna all’università della città - Da qui si organizzarono, fra la metà del XVII e quella del XIX secolo, almeno 1.800 spedizioni, per trasportare 550 mila schiavi africani nelle Antille francesi». Così, nel corso del Settecento, Nantes si trasformò da città provinciale, con le stradine medievali, in una prospera e borghese. Si costruirono le ricche facciate di Feydeau (che non è più un’isola, i tratti della Loira che la circondavano sono stati riempiti di cemento).
Il «commercio triangolare»
Si parla di «commercio triangolare». Le fregate partivano da Nantes con armi, tessuti e tanta, tanta acquavite. Raggiungevano la costa dell’Angola, dove le merci servivano a ottenere dai negrieri locali uomini, donne e bambini. Durante la traversata atlantica gli schiavi, i ceppi ai piedi e le manette alle mani, vivevano tra i loro escrementi e il vomito, finché raggiungevano Saint-Domingue, colonia francese nelle Americhe, la futura Haiti (diventata indipendente nel 1804). Lì il carico umano era scambiato con caffè, cacao e zucchero, che portavano a Nantes. «Fu il primo commercio mondiale e globalizzato», sottolinea Krystel Gualdé, direttore scientifico del museo della storia.
«Dimenticare in fretta»
Nella città gli schiavi non li vedevano proprio. D’altra parte, fin dagli inizi, i re francesi proibirono la schiavitù sul territorio «metropolitano», riservandola solo alle Antille (gli schiavi neri potevano venire giusto per periodi ridotti, il tempo di «educarli»: così i coniugi Deurbroucq avevano giustificato i loro ragazzini). È per questo che, dopo il 1848, quando Parigi abolì la schiavitù, l’oblio poté imporsi più facilmente, anche rispetto agli Stati Uniti.
«E poi iniziava il periodo coloniale – continua Michon - giustificato dalla diffusione di un progetto di civiltà. Bisognava dimenticare in fretta». I ricchi negrieri di Nantes vennero risarciti per le perdite economiche. Gli schiavi no. E quando, nel 1985, Yvon Chotard, che aveva creato l’associazione degli «Anelli della memoria», la prima a voler guardare in faccia quel passato, chiese di organizzare una mostra sul tema, l’allora sindaco (di destra), Michel Chauty, si rifiutò. Era troppo imbarazzante.
Culla del cristianesimo
Oggi Nantes è un susseguirsi di società hi-tech, istituti di ricerca e sale concerto. È il prototipo di quell’Ovest francese che funziona, economicamente e non solo: la controprova di una certa crisi del Paese. Nantes è pure la culla del cristianesimo sociale d’Oltralpe, che al comune andò al potere (e non l’ha mai abbandonato, opponendosi anche a Emmanuel Macron, negli ultimi anni) nel 1989. Il primo sindaco di quella tendenza fu il socialista Jean-Marc Ayrault, professore di tedesco, figlio di un operaio e di una sarta, già militante nel Movimento rurale della gioventù cristiana, allora in odore di marxismo.
Fu proprio Ayrault ad acconsentire finalmente alla mostra sulla tratta e la schiavitù nel 1992. «Doveva durare poche settimane e invece andò avanti per mesi – ricorda Chotard - I visitatori furono 400 mila», in una città che a livello di agglomerato ne conta oggi appena il doppio. «Era chiaro che avevamo messo il dito nella coscienza collettiva».
L’inizio del dibattito
In quel modo scoppiò il dibattito sulla schiavitù e da Nantes si propagò a tutta la Francia, che nel 2001 approvò la prima legge nel mondo a riconoscere la tratta dei neri come un crimine contro l’umanità. E non sono semplici querelle accademiche. «La storia è sempre contemporanea – ricorda Michon - come diceva Benedetto Croce. L’analizziamo con i nostri occhi e i nostri problemi. Pensiamo alla tragedia di George Floyd negli Stati Uniti. O al produttore discografico nero che a Parigi, qualche mese fa, è stato selvaggiamente picchiato dalla polizia. E al ragazzo, che faceva il pony express, pestato pochi giorni fa nella banlieue della capitale, perché di colore.
Tutto questo rimanda alla tratta e alla schiavitù di un tempo». E il dibattito a Nantes va avanti senza remore. Michel Cocotier, alla guida dell’associazione «Memoria dell’Oltremare», che raduna i discendenti degli schiavi, ricorda che «i nostri antenati hanno fatto come gli ebrei dopo la Seconda guerra mondiale: non volevano raccontare i loro drammi per la vergogna di non aversi saputo difendere». La Gualdé precisa che al museo di storia «vogliamo decolonizzare il pensiero».
Le responsabilità condivise
Hanno appena invitato a esporre un artista del Benin, Romuald Hazoumé. Le sue sovrapposizioni monumentali di bidoni di benzina ricordano i corpi ammassati nelle stive delle navi dei negrieri.
Ma Hazoumé, all’inaugurazione della mostra, ha detto: «Ho il dovere, come artista, di dire ai miei che bisogna assumere la nostra parte di responsabilità nella storia della schiavitù. Dobbiamo smetterla di dire che gli occidentali ne furono i soli responsabili: perché ci fossero dei compratori di schiavi, in Africa dovevano esserci dei venditori». A Nantes i tabù sono rotti. Non hanno paura di nulla.