Tuttolibri, 12 giugno 2021
Un libro sull’arte dello scrivere a mano
L’esplosione, ormai trent’anni fa, dell’estetica digitale ha comportato pian piano un insieme di reazioni e controreazioni. L’immagine digitale è lucida, perfetta, levigata, regolare, luminosa, efficiente, veloce, sintetica. E allora si è tornati (o ritornati) al manuale, all’artigianale, al caloroso dell’analogico. In alcuni casi per mera moda o nostalgia, in altri con intelligenza e ponderatezza. Ma sarà vero che sono mondi così opposti?
Ecco, a nominare la parola «calligrafia» vengono subito in mente scenari vittoriani fioriti di svolazzi: la scuola, il pennino, i riccioli di inchiostro, le pergamene e le carte setose. Eppure, oggi, scrivere a mano non è solo questo e la vera domanda da farsi è perché si scrive a mano, in che occasioni e con quale visione del mondo.
Luca Barcellona, classe 1978, fa parte di un nuovo corso. Grafico e calligrafo freelance, ha lavorato per i committenti più diversi da Nike a Mondadori, da Dolce&Gabbana a Sony, e ora è uscito con un libro, il suo secondo - Anima e inchiostro - in cui racconta la Weltanschauung di chi si muove con libertà tra calligrafia tradizionale, lettering e writing. Anche perché l’inchiostro di cui parla il titolo non è escluso che possa essere una vernice spray.
Al centro del lavoro ci sono appunto le lettere senza nessuna frattura tra tradizione e contemporaneo, tra manuale e digitale. Non si tratta però di un trattato tecnico né di un manuale, Barcellona non ci insegna «come si fa». È piuttosto un libro meditativo, una riflessione sul senso del proprio lavoro - e si tratta di un lavoro che comporta lentezza - in un mondo veloce, frenetico, rapido. Il sottotitolo è infatti ambizioso: «scrivere a mano come pratica per migliorare se stessi», un’affermazione all’apparenza self help e non poi così immediata. In che modo scrivere a mano può migliorarci? Barcellona cerca di ricostruire i motivi, le occasioni, gli incontri che lo hanno portato verso le lettere, ricapitolando le domande che si è posto durante il tragitto. L’aspetto biograficamente più affascinante - rispetto ai canoni consolidati - è la formazione da writer che si incontra con la tradizione calligrafica e tipografica secolare: Barcellona si è mosso con agio tra la performance e le esibizioni live di calligrafia (dove il senso non è solo nell’artefatto finito ma nell’accadere del gesto) e operazioni filologiche: nel 2009 assieme al calligrafo Klaus Peter Schaffel, ha realizzato la riproduzione di un mappamondo di grandi dimensioni risalente al 1569, utilizzando materiali originali come la penna d’oca e inchiostri naturali. E, non a caso, nel libro le scritture che compaiono sono le più diverse: dalla minuscola carolingia al gotico novecentesco, dall’italico al corsivo inglese, e, ogni volta, la domanda che serpeggia, anche inquieta, è perché facciamo ciò che facciamo? Perché, per chi ha interessi artistici, qualcosa diventa il centro dell’interesse? Quesiti che si immagina che Barcellona si senta rivolgere spesso: in fondo nel senso comune la calligrafia - intesa qui in senso lato come scrittura - è sentita come questione tecnica, da certosini pazienti e desueti. E allora forse è proprio questo l’elemento struggente e apparentemente contraddittorio della meditazione di Barcellona, come a dire: «Signori, si può essere allo stesso tempo writer e certosini, ci si può appassionare per un lettering destrutturato trovato su un muro urbano e per il rigore imperturbabile di un Bodoni». E si può perfino avere tra i propri miti Herman Zapf e ammirarlo quasi come una rock star, un designer ignoto alla maggior parte delle persone ma cruciale tra gli addetti ai lavori (ha disegnato il famoso font Zapf Dingbat che abbiamo su tutti i pc).
Ecco perciò che il «migliorare se stessi» a cui fa riferimento il libro va inteso in un senso più alto, largo, filosofico, e non come una domanda che riguarda solo writer e calligrafi. Nella società industriale di massa qualsiasi difesa di vecchie tassonomie è perdente: per migliorarci dobbiamo rendere problematico il rapporto tra manualità e tecnologia, tra artigianato e design, tra calligrafia e tipografia digitale. Tanto più che nel mondo attuale lettering e font non sono più argomenti da addetti ai lavori, visto che la scelta del carattere è ormai un gesto banale che riguarda chiunque possieda un computer. In definitiva si tratta di un libro un po’ orientale - luogo di millenarie esperienze calligrafiche: un libro che dimostra che per insegnare una disciplina bisogna prima chiedersi quali sono le condizioni per imparare e qual è il confine tra regole e spregiudicatezza nell’arte. Solo allora si dischiudono possibilità impreviste: per esempio accorgersi che la scrittura gotica è vitale e contemporanea e non soltanto un ricordo teutonico o medievaleggiante. In altre parole: le forme storiche sono sempre attuali, per chi ha la pazienza di ascoltarle. Consapevoli, neppure a dirlo, che l’artefatto finito vale quanto il gesto che l’ha reso possibile.