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 2021  giugno 13 Domenica calendario

Nepal, chiusa la stagione delle scalate

Con le prime piogge di venerdì, puntuale come ogni anno, la stagione dei monsoni è cominciata ufficialmente in Nepal, mettendo la parola fine al periodo di escursioni e scalate. Per guide, sherpa, portatori in generale e rifugisti a questo punto dell’anno di solito quello che è fatto è fatto. Solo a settembre si tornerà a parlare di ospiti, tour, risalite, trekking e dei relativi vitali guadagni. Poco, anzi quasi zero, però si è fatto in questa prima parte di 2021, dopo un 2020 nero di chiusura completa per la pandemia.
Non devono ingannare le notizie sul numero record di permessi per scalare l’Everest rilasciati fra aprile e maggio dal governo: sono stati 408, è vero, ancora più di quelli pre-pandemia, quando circolavano le immagini degli “ingorghi” di gente sulle creste innevate. La verità però è che i facoltosi scalatori dell’Himalaya, quelli che puntano alle vette, rappresentano solo l’1% dei visitatori della regione. Tutti gli altri, i trekker attratti da escursioni meno impegnative in questi mesi non si sono proprio visti, tra l’esitazione a imbarcarsi su voli internazionali e il timore fondato di una seconda ondata di Covid che ha colpito il Nepal ad aprile e maggio. A ripetersi, anche qui, le stesse terribili scene viste altrove, ossigeno e medicinali che scarseggiano, pazienti nei corridoi e nei parcheggi. Resistere qualche mese senza guadagni si può, ma ora sono in tanti a non reggere più: «Abbiamo perduto entrambe le stagioni del 2020. Nella mia agenzia abbiamo ricevuto solo due gruppi in autunno, in totale 10 persone. Prima del coronavirus riuscivamo a organizzare tra i 20 e i 25 tour, coinvolgendo tra le 80 e le 150 persone all’anno» racconta al telefono dalla capitale Kathmandu, Man Kumar Tamang, fondatore di Halesi Treks, una delle agenzie di trekking autorizzate dal governo. Ora che la nuova stagione è finita senza praticamente portare guadagni, la sua voce è quasi imbarazzata mentre spiega la dimensione del disastro. «Questa primavera ho accolto per un trekking solo una coppia di francesi, tutto qui. Nel mezzo dell’escursione siamo stati informati che le autorità stavano riducendo i collegamenti aerei con l’estero per l’aumento dei casi di Covid, dunque i due clienti hanno deciso di rientrare». Senza alcun aiuto economico dal governo, e con moglie e due figlie, di 4 anni e 11 anni, non sa come tirare avanti. «Hanno gli stessi problemi le famiglie delle mie guide, amici che conosco da una vita, che provengono dalla mia stessa regione. Alcuni sono tornati nei loro villaggi, perché nella capitale è difficile affrontare la vita quotidiana: non abbiamo entrate, né risorse, non sappiamo cosa succederà domani. Prendiamo a prestito denaro, chiediamo agli amici. Al momento, non possiamo nemmeno uscire per strada, siamo in lockdown. E dei vaccini non sappiamo granché, solo che il Paese ne ha ricevuti pochi». In Nepal solo il 7,7% della popolazione ha avuto accesso ad almeno una dose di vaccino (in Italia siamo al 47%, in Canada, che ha superato il primato di Israele, al 64%), anche se proprio questa settimana è ripresa la campagna di inoculazioni.
Sono ventitré anni che Man Kumar Tamang lavora con gli escursionisti, prima come portatore, poi come assistente, poi come guida, fino alla nascita della sua attività nel 2011. In questa crisi non c’è solo l’aspetto economico: «Tra la chiusura dell’ultimo anno e l’attuale lockdown, mi mancano i panorami che si trovano sull’Himalaya e mi mancano i miei clienti. Passando insieme intere settimane in montagna, c’è sempre l’occasione per parlare, scambiarsi punti di vista e esperienze della vita». Con i clienti storici è rimasto in contatto anche in questi mesi: «C’è chi vuole tornare, ma tutti ripetono le stesse parole: di volere aspettare che termini la crisi sanitaria, di volersi prima sottoporre al vaccino, di vedere se lockdown, misure sanitarie strettissime e restrizioni cesseranno. Insomma, aspettiamo».
Intanto il tempo passa, i risparmi delle famiglie sono oramai esauriti, gli interessi dei prestiti pesano e si tira, ancora di più, una cinghia già stretta.