Il Sole 24 Ore, 13 giugno 2021
Come cambiano i college femminili Usa
Le Seven Sisters sono college americani tradizionalmente riservati all’educazione femminile. Cinque di essi (Mount Holyoke, Wellesley, Smith, Bryn Mawr e Barnard) hanno mantenuto tale caratteristica, uno (Vassar) è misto dal 1969 e uno non esiste più. Nel 1999 infatti Radcliffe College si è dissolto, fondendosi con la corrispondente istituzione maschile: Harvard. Meglio tardi che mai, viene da dire.Bisogna però osservare che questo tardivo adeguamento alle più elementari norme di civiltà ha lasciato sul terreno una vittima. Il Radcliffe Institute for Independent Study è diventato il Radcliffe Institute for Advanced Study, e non è solo una questione di parole. Fondato nel 1961, il vecchio istituto aveva fornito per quarant’anni opportunità di studio e di ricerca a donne intelligenti e creative; il nuovo istituto è aperto a donne e uomini. Non è chiaro se ciò costituisca un guadagno o una perdita.Maggie Doherty insegna a Harvard e collabora a testate come «The New York Times», «The Nation» e «The New Republic». In The Equivalents racconta la storia di cinque delle prime partecipanti all’istituto: le poetesse Anne Sexton e Maxine Kumin, la scrittrice e attivista Tillie Olsen, la pittrice Barbara Swan e la scultrice Marianna Pineda. Il titolo del libro richiama un epiteto scherzoso: per venire ammesse, le candidate dovevano esibire un dottorato oppure, nel caso di artiste, opere «equivalenti». Dopo aver fatto comunella, Anne e Max, Tillie e Barbara e Marianna avevano così preso a chiamarsi «le equivalenti».Mary Bunting, all’epoca presidente di Radcliffe College, era una microbiologa che credeva nel valore di una scienza e di una cultura al femminile. Aveva collaborato con Betty Friedan a quello che avrebbe dovuto essere un progetto comune, ma se ne era infine allontanata: quando uscì nel 1963, La mistica della femminilità, il testo che inaugurò la seconda ondata del movimento femminista, portava solo la firma di Friedan. Bunting aveva un approccio diverso: voleva agire nel sistema, per migliorarlo dall’interno.C’era grande bisogno di miglioramento. Durante la guerra, le donne avevano affollato il mercato del lavoro; negli anni Cinquanta gli uomini erano tornati dal fronte e avevano ripreso i loro posti di controllo e di comando. Le donne erano invitate a stare a casa, allevare figlioli e sfornare torte. Poi, il 4 ottobre 1957, i russi misero in orbita lo Sputnik e il 6 dicembre dello stesso anno un lancio analogo fallì da Cape Canaveral. A un tratto, gli americani erano in crisi; volevano più giovani brillanti che studiassero scienze e ingegneria, e qualcuno osservò che il 90% dei giovani brillanti che non andavano all’università erano donne.Bunting colse l’opportunità: il Paese, disse, aveva soffocato metà della sua popolazione in un «clima di mancanza di aspettative». Occorreva creare luoghi dove donne di valore potessero mettere in atto la propria sensibilità e il proprio ingegno. L’istituto da lei fondato avrebbe offerto annualmente a una ventina di «associate» un ufficio, accesso alle biblioteche di Harvard e tremila dollari (25 mila dollari di oggi) da spendere come volevano.Doherty segue con attenzione e con affetto le sue eroine nella loro vita ricca di travagli e di successi. Si concentra in particolare su Sexton, la quale nella poesia trovava sollievo dalle ansie che la dominavano e che la portarono al suicidio a quarantacinque anni, il 4 ottobre 1974.Al termine del libro, riflette sulla sua situazione e si chiede se la società sia cambiata, in sessant’anni, mentre MeToo rivela l’ubiquità di ricatti e violenze sessuali. La domanda è retorica, come la perplessità segnalata in precedenza: è davvero un bene che una delle poche istituzioni in cui alcune donne potevano trovare, per dirla con Virginia Woolf, «una stanza tutta per sé» abbia «superato» questo «limite»?