Il Sole 24 Ore, 13 giugno 2021
Storia della paura
Il maledetto Covid-19 sembra finalmente arretrare dopo aver regnato sul mondo intero per un anno e mezzo, lasciando dietro di sé una scia di morte, sofferenza, povertà, solitudine, isolamento, diffidenza, paura. Un sentimento, quest’ultimo, così presente nell’esperienza dell’umanità da indurre gli antichi greci a dedicargli una divinità, Phobos (da cui fobia), figlio di Marte e di Venere. Del resto, la paura ha sempre accompagnato la vita umana quale inevitabile corredo della sua stessa precarietà, anche al di là di eventi eccezionali come appunto pestilenze guerre, carestie, pericoli, catastrofi naturali. Non è lontano il tempo in cui bastava un cattivo raccolto a mettere in ginocchio regioni intere, una peste a svuotare una città in pochi mesi, una malattia oggi facilmente curabile a lasciare un regno senza eredi; in cui la fede cristiana trovava poderoso sostegno nella paura del giudizio di Dio, dell’aldilà, degli atroci supplizi che attendevano i reprobi in un inferno evocato nei minacciosi teschi e cadaveri disseccati dei memento mori e minuziosamente descritto in una miriade di Giudizi universali e Danze macabre che accompagnavano la pastorale della paura di predicatori e confessori; in cui un universo popolato di demoni, streghe, incantesimi, untori, malocchi contribuiva a spaventare chi ogni giorno doveva fare i conti con le asprezze del vivere e i misteri di una natura ignota e spesso ostile, da addomesticare con formule magiche e apotropaiche più che con strumenti scientifici; in cui, come ancor oggi accade in paesi governati da tirannidi più o meno mascherate, ci si deve misurare con la paura di un potere arbitrario e violento, pronto a infliggere persecuzioni, torture, deportazioni, genocidi.
Per non dire della paura del nulla, dell’ignoto, dei sussurri della notte. Un grande storico francese raccontò la storia affascinante di una “grande paura” scaturita da una notizia falsa che si diffuse incontrollata all’alba della Rivoluzione francese e contribuì a provocarla. Così come oggi fantomatici complotti e macchinazioni alimentano le paranoie di quanti, nel crescente vuoto venutosi a creare tra società e politica e nel dilagare delle fake news, si inducono a credere che tutto sia inganno e finzione nell’interesse di non si sa chi, a esorcizzare la propria ignoranza affidandosi al grottesco carisma di nuovi sciamani, a delegittimare una scienza falsa e manipolatrice, fino a vedere nel virus il bieco strumento di una cospirazione, a negare l’esistenza della malattia, a schierarsi fra i no vax. A livelli meno infimi, ma forse più pericolosi, sono apparsi sulla scena personaggi anche noti che hanno visto nelle misure precauzionali disposte dalle autorità sanitarie un intollerabile attacco alla libertà, un prodromo della tirannide, ignorando che la libertà non è meno sacra dei suoi limiti, che sono poi quelli della libertà altrui e dell’interesse generale. Il che non toglie che regimi autoritari si siano serviti e si servano della pandemia per rafforzare la loro presa dittatoriale sulle istituzioni e sulle persone, sulla loro disponibilità a sacrificare la libertà al bisogno di sicurezza e alla fine dalla paura. E ancor peggio è stato il tentativo di leader politici irresponsabili di combattere la paura sottovalutando e nascondendo il pericolo, come è accaduto in Brasile o negli Stati Uniti, dove Donald Trump non ha esitato a ridicolizzare l’uso della mascherina, a deridere scienziati illustri, a suggerire terapie demenziali per ingraziarsi il voto dell’America più ottusa e reazionaria.
È in questo universo emotivo individuale e collettivo collegato alla paura che Prosperi si inoltra in quella che non è però una storia della paura, ma un fluire di riflessioni intrise di grande cultura storica sulle devastazioni non solo fisiche prodotte dal virus, capaci di cogliere i nessi e le differenze tra passato e presente e di mettere in evidenza le paure che oggi più dovrebbero turbare i nostri sonni: il degrado ambientale, le crescenti ingiustizie sociali, l’intollerabile differenza nella qualità della vita tra le varie parti del mondo, l’impoverimento culturale provocato anche dall’inarrestabile dominio di tecnologie sempre più invasive. Il libro diventa così un pamphlet contro i meccanismi devastanti di un liberismo selvaggio dominato dalla finanza, ormai sottratto a ogni controllo politico e quindi in grado di sottomettere tutto ai suoi meccanismi, di ignorare la questione climatica, di impoverire i poveri e arricchire i ricchi, di fare a pezzi la sanità pubblica, di recludere i vecchi, di sottomettere anche la cultura alla logica di mercato, di fare a pezzi scuola e università, di abbandonare i giovani a un futuro ricco di debiti e privo di opportunità.
I pensieri sparsi di un acuto osservatore della pandemia e delle sue conseguenze si ricompongono così in una sorta di specchio delle storture di un sistema che ha aggravato anziché affrontare i molti problemi di un futuro cui non si può guardare senza paura, appunto. Ma senza cadere nella trappola di chi per denunciare i lockdown, le limitazioni alla libertà personale, la didattica a distanza, le RSA abbandonate a sé stesse e così via ha evocato addirittura Hitler e Mussolini, al punto che talora «il principio di realtà - scrive Prosperi - è apparso spesso assente o nascosto fra i tanti che hanno scelto di fare mostra di coraggio o di disprezzo davanti alla incombente minaccia di morte. Il che ci avverte di come la realtà possa restare oscura a molti in regime di peste e il senso comune possa divorziare del tutto dal buon senso».
Tremare è umano. Una breve storia della paura di Adriano Prosperi, Solferino, pagg. 156, € 9,90