Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  giugno 13 Domenica calendario

Sfida Cina-Usa su valute digitali, chip, web e 5G

«La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi». La celebre frase del generale prussiano Karl von Clausewitz, scritta all’inizio dell’800, ha forse fatto il suo tempo. Oggi bisognerebbe quantomeno aggiornarla: non è più (o non è solo) la guerra ad essere la prosecuzione della politica e della diplomazia con altri mezzi, ma piuttosto lo sono sempre più la finanza e la tecnologia. Non da oggi certo, ma ora più che mai. La battaglia tra le superpotenze di oggi – soprattutto Stati Uniti e Cina, con l’Europa in mezzo – è combattuta su fronti sempre meno tangibili ma sempre più dirompenti. Su terreni che cambiano il mondo senza che la gente se ne accorga davvero. Senza bombe. In silenzio. 
Sulle valute digitali di Stato per esempio, su cui la Cina ha ambizioni sfrenate: con il suo yuan digitale, in fase di creazione, ha infatti l’obiettivo di scalzare la supremazia del dollaro come valuta di riserva e nelle transazioni internazionali. Oppure sui chip, «il petrolio della nuova rivoluzione digitale» per dirla con le parole di Alicia Garcia Herrero, chief economist Asia Pacific di Natixis: qui il predominio statunitense oggi è assoluto, ma la Cina insegue con l’obiettivo di arrivare nel 2025 a conquistare un’autonomia al 70% nel settore dal 20% attuale. Ma anche su Internet si gioca la partita: la Cina sta lavorando sottotraccia per creare un nuovo «world wide web» a totale controllo statale, un’infrastruttura con cui controllare i dati, le transazioni e su cui far circolare il nuovo yuan digitale. Per non parlare dei dati, appunto, l’altro “petrolio” della nuova era. Fino all’intelligenza artificiale. O al 5G, l’infrastruttura chiave del nuovo imperialismo.
Tecnologia, finanza, blockchain, dati, telecomunicazioni: sono queste le armi della nuova geopolitica. O della nuova Guerra Fredda. «La Cina vuole arrivare ad estendere la sfera di influenza su tutti i Paesi in via di sviluppo: sull’Asia, sull’Africa, sul Medio Oriente, sull’America latina e sulla Russia», commenta Alessia Amighini dell’Ispi, professoressa di politica economica all’Università del Piemonte Orientale. E vuole farlo con queste armi finanziarie e tecnologiche. «La finanza è la vera linfa della Nuova via della seta, la parte più innovativa e dirompente nei suoi aspetti operativi, istituzionali e politici», aggiunge Amighini. Gli Stati Uniti e l’Europa, con le stesse armi e con i provvedimenti restrittivi verso aziende cinesi come Huawei, puntano a contrastare tutto questo. La battaglia è in corso. E la visita del neo presidente Usa Joe Biden in Europa, nell’ambito del G7, è un passaggio fondamentale per consolidare le alleanze in questa nuova Guerra Fredda. Quella in corso, che disegnerà la geografia e le sfere di influenza di un futuro neppure tanto lontano. Vediamole una ad una, tirando tra tutte un filo conduttore. 
Petrolio digital e
La guerra dei chip
Può avere stupito il fatto che il Governo Draghi, in Italia, abbia usato per la prima volta i poteri speciali della «Golden Power» per bloccare l’acquisizione da parte di un gruppo cinese di una piccola e semi-sconosciuta azienda lombarda: la Lpe. Ma non bisogna stupirsi: la Lpe è infatti un’azienda attiva nel settore dei semiconduttori. Quello su cui si gioca una delle partite più strategiche di politica internazionale dei giorni nostri. «Quello dei chip è un settore chiave nella rivoluzione tecnologica in atto: servono per le auto elettriche, per tutti gli apparecchi tecnologici, per tutto», osserva Alicia Garcia Herrero di Natixis. «Data la rilevanza del settore e dato il fatto che per assemblare un chip servono componenti prodotti da varie aziende nel mondo, per Stati Uniti, Cina ed Europa la sicurezza della catena delle forniture diventa sempre più strategica – aggiunge -. Questo sta portando a crescenti tensioni, soprattutto tra Stati Uniti e Cina».
Controllare la catena delle forniture (la cosidetta «supply chain») significa assicurarsi l’autonomia e l’indipendenza su questo settore così strategico. E per farlo è anche necessario acquisire aziende, anche piccole e di nicchia, in giro per il mondo. Sono i numeri a dimostrare il fermento nel settore: nel 2020, in piena pandemia, secondo i dati elaborati da Dealogic per Il Sole 24 Ore, le acquisizioni nel settore dei semiconduttori hanno raggiunto livelli record nel mondo. Più precisamente ci sono state 559 fusioni e acquisizioni, per un valore di 175 miliardi di dollari. Praticamente in un anno (ripetiamo, in piena pandemia) le acquisizioni in questo settore hanno superato in valore quelle del 2019 e del 2018 messi insieme. Nel primo semestre 2021 c’è stato un calo, ma il trend è segnato. Questo è il motivo per cui il Governo italiano ha bloccato l’acquisizione cinese sulla piccola, ma strategica, azienda lombarda: perché era una pedina di una partita gigantesca. E questo è il motivo per cui la Cina ha provato (senza trovare per ora avvocati disponibili) a fare causa al Governo italiano. 
Oggi sono gli Usa a dominare la produzione mondiale di chip, ma la Cina – come detto – punta a raggiungere un’autonomia al 70% entro il 2025. Anche perché già oggi è il maggior consumatore di chip. E l’Europa (Italia inclusa) non può stare inerte. «Questa corsa a controllare la catena delle forniture si sta concentrando su Taiwan, isola strategica sia per gli Stati Uniti sia per la Cina per la produzione di chip – osserva Amighini -. Taiwan sarà il terreno di scontro in futuro». 
Cyber-Imperialismo
Guerra di valute digitali
C’è poi la guerra delle valute. Il mondo di oggi è fondato sulla supremazia del dollaro. Natixis calcola che il dollaro sia usato per effettuare il 40,33% dei pagamenti di tutto il mondo. Ma soprattutto il dollaro costituisce il 61,99% delle riserve valutarie globali. Al secondo posto c’è l’euro, poi la sterlina. Lo yuan cinese è invece irrilevante oggi: rappresenta solo l’1,76% dei pagamenti globali e il 2,02% delle riserve valutarie globali. Basti pensare che la Banca centrale cinese stessa è oggi (ma in futuro questo potrebbe cambiare) uno dei maggiori detentori di dollari e di titoli di Stato americani.
Ma la Cina vuole ribaltare lo status quo. Giocando una carta nuova: lo yuan digitale, ormai non lontano al lancio. Una nuova valuta digitale controllata dalla banca centrale, con cui permettere ai cittadini non solo cinesi di effettuare pagamenti senza cash in sicurezza e senza costi. Una valuta che ha l’ambizione di diventare internazionale. «La collaborazione avviata con le Autorità monetarie di Hong Kong, con la Bank of Thailand e con la Banca centrale degli Emirati Arabi per sperimentare l’utilizzo oltre confine dello yuan digitale lo dimostra», scrivono in un report gli analisti di Natixis Alicia Garcia Herrero e Junyu Tan. 
Concorda Jan Knoerich, Senior lecturer sull’economia cinese al King’s College London e autore di un capitolo di un libro dedicato alle valute digitali: «Per la Cina essere in pole position su questo fronte ha un significato geopolitico speciale. Non solo la metterebbe in vantaggio nei confronti delle altre valute digitali in arrivo, come Libra di Facebook, ma darebbe una forte spinta all’obiettivo di rendere lo yuan sempre più internazionale. L’idea è di aumentare l’attrattività dello yuan nel commercio internazionale, negli investimenti globali e nel mondo delle riserve valutarie». Non è detto che la Cina riesca nel suo intento, bene inteso. Ma di certo è molto avanti nella creazione del nuovo yuan.
Gli Stati Uniti sono invece indietro nella creazione di una valuta digitale, dato che già dominano il mondo delle valute tradizionali. Più attenta a questo settore è l’Europa, con la Bce che sta studiando l’ipotesi di varare l’euro digitale. Ma siamo ancora alla fase di studio preliminare. 
Web di Stato
Internet cinese
Per qualunque rivoluzione servono poi le infrastrutture. E le telecomunicazioni sono la chiave del nuovo mondo, anche per far girare il nuovo futuro yuan digitale. Per questo sul 5G si sta combattendo una battaglia senza esclusione di colpi: si tratta infatti di una tecnologia chiave nella rivoluzione digitale e anche nel controllo dei dati. «La Cina sta tentando di penetrare nelle reti e nelle infrastrutture del 5G, come ha fatto con il 4G – osserva Amighini -. Ma non sarà semplice farlo». Almeno nel mondo occidentale, dato che in Africa – per esempio – le infrastrutture tecnologiche sono ormai in gran parte made in China.
Ma il gigante asiatico sta cercando di fare ancora di più: creare una rete Internet alternativa a quella esistente oggi. «Il Governo cinese sta pianificando di creare sotto il mare autostrade di cavi che circondino il continente africano – scrive sul Guardian Flavia Kenyon, avvocatessa ed esperta in leggi sulla cibernetica al 36 Group di Londra -. L’idea è di dare accesso Internet a cittadini e villaggi oggi ancora tagliati fuori. La connettività fa rima con progresso e molti in Africa saranno contenti». Peccato che il concetto di Internet in Cina sia ben diverso dalla rete collettiva e democratica che conosciamo oggi: «Naturalmente la Cina vuole un’infrastruttura tecnologica che dia al Governo un controllo totale, qualcosa che sia in linea con l’impulso totalitario», osserva Shoshana Zuboff, autore di «The Age of Surveillance Capitalism». In questo ha i suoi alleati: l’Arabia Saudita, l’Iran e la Russia hanno già mostrato interesse e sostegno per la proposta cinese di un Internet alternativo. Insomma, un nuovo mondo tecnologico, a totale controllo del Governo, dove passeranno le nuove armi della nuova Guerra Fredda: i dati.