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 2021  giugno 13 Domenica calendario

Intervista a Giampaolo Morelli

Dai mix più variegati vengono fuori i sapori più interessanti. Un pizzico di classica recitazione di stampo partenopeo, un gusto per il pop spensierato, un’aria da play-boy spiritoso, un remoto passato da prestigiatore e nessun rimpianto da interprete spesso brillante che sogna più ruoli impegnati. La ricetta di Giampaolo Morelli, attore, sceneggiatore e regista, ha punti forti che non deludono e che annunciano una felice maturità: «E’ vero, più vado avanti negli anni e più sono contento. Con l’età si impara a non dare importanza a cose futili, a relativizzare, a vivere in un modo più tranquillo, a conoscersi meglio, a fare pace con sé stessi».
Quali sono gli incontri fondamentali della sua carriera?
«Sicuramente quello con i fratelli Manetti, insieme abbiamo fatto tante cose belle. Prima ancora, però, c’è stato quello con Carlo Vanzina, il primo a darmi un ruolo da protagonista, in South Kensington. Ha creduto in me, mi ha mostrato fiducia, era generoso, un grande scopritore di attori».
In Maledetta primavera (nelle sale in questi giorni) è diretto da una donna, Elisa Amoruso. Un modo di lavorare diverso rispetto ai registi uomini?
«No, un regista è una persona che vuole raccontare una storia da un suo punto di vista. Per quanto mi riguarda, se credo in quel progetto, non trovo nessuna diversità, non mi viene nemmeno in mente se, dietro la macchina da presa, ci sia un uomo o una donna».
Oggi, anche nel cinema, si fa grande attenzione a quote e percentuali, quanti uomini, quante donne. Che ne pensa?
«Come in tutte le forme d’arte alla fine conta il risultato. Se fossi una donna sarei offesa dall’essere valutata solo in termini di genere, non credo che le donne siano una minoranza da proteggere, vale quello che si fa ed è il pubblico che deve decidere. L’importante è che a nessuno, per nessuna ragione, vengano precluse possibilità».
Un’altra mania è il politically correct, che opinione ne ha?
«Ci vorrebbe un po’ di misura. I film, a parte casi specifici, non devono educare, ma raccontare storie. Se si continua così, si arriverà all’appiattimento e all’auto-censura. Penso a Zalone, e alle sue idee geniali, meravigliosamente scorrette. Eppure in tanti, per esempio su Facebook, hanno avuto da ridire perfino su La Vacinada. Un’assurdità, allora non si può fare più nulla».
In Maledetta primavera lei interpreta Enzo, marito di Laura (Micaela Ramazzotti) e padre dell’adolescente Nina (Emma Fasano). Che tipo è?
«Un uomo irrisolto, sempre alla ricerca di qualcosa, capace di comunicare affetto e fascino, ma anche totalmente privo di equilibrio. E’ uno che, in famiglia, porta turbolenza. Detto questo, io ai miei personaggi dò sempre ragione, non li giudico, provo a comprenderli, nella loro verità».
Lei che padre è nella realtà?
«Cerco di trasmettere ai miei figli il poco che ho potuto imparare finora, il non arrendersi, l’inseguire le proprie passioni e i propri sogni, ricordando loro che, nella vita, tutto è faticoso, ma, se si ha la fortuna di fare quello che piace, tutto è anche molto più bello».
Il film ha il titolo di un «evergreen» cantato da Loretta Goggi negli Anni 80. Lei ce l’ha una canzone preferita?
«Sono un grande ascoltatore di musica, sono cresciuto con canzoni straniere, quando ero ragazzino c’erano i Duran Duran di Wild boys, gli A-Ha con Take on me, quelli erano i miei principali riferimenti ».
Dopo 7 ore per farti innamorare pensa a nuove regie?
«Sì, devo mettere a fuoco delle idee, sto per arrivarci. Certo, il debutto da regista in piena pandemia, con il film presentato su piattaforma, mi ha fatto sentire la mancanza di una sala in cui ridere insieme. Ha avuto tantissime visualizzazioni, ma l’emozione della visione collettiva è un’altra cosa».
Della sua immagine di attore fa parte anche il lato tombeur des femmes, come ci si trova?
«Secondo me far ridere fa anche innamorare. Non mi sono mai preso sul serio, la risata, l’auto-ironia sono fondamentali, e credo che questo possa risultare affascinante per alcune donne. Fare il sexy non è da me, non mi ci sono mai sentito, non lo sono».
Ha appena finito Finchè c’è crimine c’è speranza di Massimiliano Bruno. Come è andata?
«Mi sono divertito tanto, con Giallini e con Tognazzi, raramente mi capita stare così bene su un set. Stavolta si va indietro nel tempo, la storia è ambientata durante la II Guerra Mondiale, noi siamo tre scapestrati nell’Europa occupata, tra tedeschi e partigiani».
Tornerà nei panni dell’Ispettore Coliandro?
«Sì, mi piace tanto. Coliandro non si esaurisce mai, ha sempre da dire, non invecchia, anche, perchè quando è venuto fuori, era veramente innovativo. E’ un poliziotto umano, anti-eroe, anticonvenzionale, e finora nessuno l’ha superato».