La Stampa, 13 giugno 2021
Vettore virale
Dopo AstraZeneca anche Johnson & Johnson: doppia sospensione in Piemonte dei due vaccini per gli «under-60». Migliaia di persone e di dosi da riprogrammare e un senso diffuso di sconcerto, a volte di paura. E tanta voglia di capire. Come funzionano questi vaccini che gli specialisti definiscono «a vettore virale» e quanto possono essere pericolosi?
Alla base del loro funzionamento c’è la capacità di sfruttare un virus per portare nell’organismo umano il principio attivo del vaccino stesso. Sia per AstraZeneca sia per Johnson&Johnson si ricorre a un adenovirus, le cui caratteristiche facilitano il compito di veicolare il materiale genetico alla base del farmaco. Il virus che utilizza AstraZeneca - spiega il farmacologo Gianni Sava, della Società Italiana di Farmacologia - è un adenovirus dello scimpanzé e quindi non può infettare l’essere umano. Al Dna di questo vettore vengono aggiunte le «istruzioni» in grado di allertare la risposta immunitaria dell’organismo, in particolare il gene che riconosce la proteina Spike del Covid-19, vale a dire la proteina dell’involucro del coronavirus: è quella indispensabile per scatenare il processo di infezione e, una volta che è stata riconosciuta come estranea dal sistema immunitario, si innesca la reazione.
Johnson&Johnson, invece, ricorre a un virus a Dna che infetta l’uomo, un adenovirus del raffreddore, in questo caso umano. «La differenza - aggiunge Sava - sta nel fatto che questo vettore potrebbe essere già noto all’organismo di chi viene vaccinato, se si è contratto quel virus in passato». La conseguenza è che il sistema immunitario, conoscendolo, potrebbe non solo ridurre l’efficacia del vaccino, ma causare una reazione infiammatoria: è questo processo che può portare a diverse «reazioni avverse» (così si chiamano in gergo), tra cui le trombosi. Al momento una delle ipotesi è che a favorire i comunque rari eventi avversi - sottolinea Sava - potrebbero essere altre proteine che fanno parte del vaccino e che sono utilizzate per facilitare la «traduzione» delle istruzioni genetiche. Prodotte in grande quantità nell’organismo, queste proteine potrebbero indurre una reazione immunitaria esagerata, specie nelle persone predisposte.
I dati più recenti - precisa Sava -, raccolti dall’Ema, l’Agenzia Europea dei Farmaci, suggeriscono che chi corre dei rischi sono le donne «under-40» e quindi chi è in età fertile. «Ciò potrebbe essere legato alla presenza di ormoni femminili, gli estrogeni, in circolo. Non a caso - rileva il farmacologo - abbiamo esperienza clinica del fatto che con la pillola anticoncezionale si ha un rischio di trombosi».
Se questi scenari valgono per il vaccino AstraZeneca - dice lo specialista - i rischi sono anche maggiori per il vaccino Johnson&Johnson, viste le peculiarità del vettore che possono scatenare una risposta infiammatoria molto forte, tale da favorire le trombosi. I due vaccini, inoltre, appaiono sconsigliabili per coloro che sono predisposti a fenomeni di autoimmunità e, quindi, per esempio, per chi soffre di malattie autoimmuni: in questi casi l’organismo produce anticorpi che attaccano se stesso (come avviene con il diabete di tipo 1 o la tiroidite autoimmune). Ecco perché nel triage pre-vaccinale i medici devono tenere conto di queste possibilità, anche se - chiarisce Sava - «stiamo parlando di un numero di casi non elevato: il fenomeno delle trombosi emorragiche, nella popolazione generale, è di per sé un evento raro e riguarda 150-200 individui ogni milione di abitanti». Tra i vaccinati AstraZeneca, tuttavia, questi eventi sembrano più frequenti. I dati americani suggeriscono che la frequenza sia anche più che doppia rispetto allo «standard» e potrebbe trattarsi di una sottostima. Si pensa che molte di queste trombosi diano scarsi sintomi e si risolvano naturalmente. I decessi restano eventi comunque rarissimi, sottolinea l’esperto, stimati in circa 5-6 casi su un milione di vaccinati.
Diverso è l’approccio di Pfizer e Moderna, che sono vaccini cosiddetti a Rna messaggero o mRna: qui non c’è alcun vettore virale e ad essere iniettata è direttamente l’istruzione genetica - sotto forma, appunto, di Rna messaggero - allo scopo di produrre la proteina Spike che funziona da antigene con cui scatenare la risposta immunitaria. Una volta iniettato, quindi, l’Rna sfrutta gli strumenti cellulari del corpo per tradurlo in proteina, la quale a questo punto attiva il sistema immunitario.
Almeno in apparenza - spiega Sava - per questi vaccini non esistono controindicazioni basate sull’età. Presentano eventi avversi in numero simile agli altri due vaccini, ma meno gravi, e i casi di trombosi sono limitatissimi. L’ipotesi prevalente è che a scatenare possibili reazioni avverse siano le sostanze «accessorie» usate come stabilizzatori dell’mRna oppure per evitare che l’acido nucleico, di per sé una molecola molto labile, si degradi.
In ogni caso - conclude Sava - «stiamo parlando di numeri lontanissimi dagli eventi avversi riscontrati con farmaci di uso comune: per esempio l’aspirina o l’ibuprofene».