la Repubblica, 13 giugno 2021
I sopravvissuti del Covid che scalano le montagne
Sette chilometri di sentiero in salita, a una pendenza del 6,7%: l’opuscolo diceva due ore e passa, invece la camminata è durata molto meno. Sì, sono proprio allenati. Il prossimo appuntamento sarà una mezza maratona, tutta di corsa. Oppure un’immersione subacquea a Portofino. Un’altra sfida, qualunque sia: in palio c’è la celebrazione della vita. Perduta, ritrovata. Pensare che Roberta fino a pochi mesi fa non riusciva neppure a salire le scale di casa, da sola. Invece oggi. E Luigi fa finta di nulla, ma ha ancora il piede destro insensibile: è in testa a gruppo. Julia, poi: sempre così stanca, depressa, sola. Ora sorride sempre, respira forte. Caterina è non vedente: si è fatta accompagnare da Clever, golden retriever diventato l’amico della compagnia. «Non arrendetevi mai», dice.
Ieri erano una trentina ad arrampicarsi lungo la montagna alle spalle di Genova, col Ponte Morandi che si intravvedeva giù a valle: mentre gli altri – i nuovi “colleghi”, una ventina, appena usciti dall’inferno – li aspettavano in cima, al Santuario della Guardia. Sono tutti reduci dal Covid in forme pesanti, hanno sofferto e nascondono le cicatrici dentro: perché il contagio non finisce con un referto, no. Chi ci è passato lo sa: guarisci ma non guarisci mai del tutto. Sei vivo, va bene: però hai perso chili, ti manca il fiato, la forza. La voglia di vivere. Ma loro sono passati per la cosiddetta Palestra Covid, aperta un anno fa nel capoluogo ligure: e questo è un giorno di festa. Siamo noi: siamo ancora vivi, gridano. Nonostante il Coronavirus.
«Nell’80% dei casi restano strascichi fisici e psicologici. Debolezza, deficit di equilibrio, difficoltà a respirare, a coordinarsi. Lo stress di chi è sopravvissuto, ma non riesce a tornare alla vita “normale”. Tre settimane in terapia intensiva equivalgono a invecchiare oltre 10 anni. Queste persone vanno recuperate»: Piero Clavario, responsabile del reparto di cardiologia riabilitativa, sale al Santuario con gli altri e chiude la carovana. Un anno fa ha avuto l’idea. Subito approvata da Piero Bottaro, il presidente dell’Asl3. Applicare alle vittime del Covid lo stesso protocollo previsto per i malati di cuore: dal giugno del 2020 ha contattato oltre un migliaio di pazienti dell’azienda sanitaria. Una prima valutazione al telefono, aiutato da un medico e uno psicologo, poi l’incontro: elettrocardiogramma, ecografia polmonare, la visita del fisioterapista, il reumatologo e il fisiatra. «Molti li abbiamo indirizzati da questo o quello specialista. Gli altri sono stati convocati nella nostra palestra. E abbiamo cominciato ad allenarli”». Minimo 2 mesi, massimo 5: cyclette, tapis roulant, macchine per i pesi. Due ore ad ogni appuntamento, 3 volte alla settimana. «All’inizio mi odiano tutti, perché non ho pietà. Poi cominciano a recuperare: il 10% della condizione ogni mese. Quando arrivano all’80%, li lascio andare». Sì, lo detestano. Poi finisce che non vorrebbero andare più via. E la camminata di ieri è stata una emozione unica, per quelli che ce l’avevano fatta.
«Sono un’operatrice sanitaria, il Covid me lo ero preso nella Rsa dove lavoravo». Roberta, 42 anni, campionessa di kickboxing e appassionata di crossfit. Una atleta. «Dopo 3 settimane ero guarita, ma non riuscivo più a fare le scale di casa. Mi mancava la forza. Provavo a pulire casa, però dopo aver fatto il letto mi dovevo sedere. Recuperare. Mio figlio e il mio compagno non capivano, io mi sentivo sempre più giù». All’inizio la palestra non le piaceva. «Svenivo, bastavano pochi minuti alla cyclette. Tutto sembrava inutile. Ci sono voluti quasi 2 mesi, prima di riuscire ad ingranare. E mi è sembrato di tornare a vivere. Non vedo l’ora di rimettermi a correre». Luigi, 62 anni, agente penitenziario, contagiato mentre lavorava nel carcere di Marassi. «Intubato per 40 giorni, 4 mesi di ospedale e altrettanti a casa. Uno straccio, non sentivo più le gambe. Ho scoperto la Palestra Covid su internet: all’inizio un delirio, poi ho cominciato a volare». Julia, 29 anni: «La gente prima ha paura di te. Poi non capisce, che stai ancora male. Qui invece ho trovato degli amici». Sono arrivati in cima tra i primi. Si sono abbracciati. E vorrebbero immergersi al Cristo degli Abissi di San Fruttuoso, vicino a Portofino. «Però ci serve un sponsor. Altrimenti, puntiamo a una mezza maratona», dice Clavario, il primario- allenatore. Sì, è una vita ritrovata.