la Repubblica, 13 giugno 2021
L’Europa e la seconda Guerra fredda
Richiamandosi alle radici della comunità delle democrazie, all’urgenza della ricostruzione globale dopo la pandemia ed alla necessità di affrontare le sfide del nuovo secolo, il presidente americano Joe Biden ha indicato al summit del G7 la Cina di Xi Jinping come il più temibile rivale strategico collettivo.Atterrato nella base britannica di Mildenhall, da dove la Raf iniziò a colpire il Terzo Reich appena tre ore dopo l’inizio della Seconda guerra mondiale, Biden si è affrettato a «smentire chi afferma che le nostre democrazie sono in declino» e davanti all’originale della Carta Atlantica che nel 1941 segnò l’inizio dell’impegno americano contro il nazifascismo ha rinnovato l’impegno di Franklin D. Roosevelt per «la sicurezza collettiva e la difesa di un giusto sistema internazionale dei commerci».
Richiamarsi al precedente storico che per ogni americano rappresenta il «dovere di difendere la democrazia» significa per Biden individuare nel G7 il cuore di un network di alleanze, economiche e strategiche, oggi chiamato alla delicata doppia sfida di guidare la ricostruzione globale dopo la pandemia e di respingere l’ambiziosa offensiva di Xi Jinping.
Lo strumento per affrontare la ricostruzione è la dottrina del Build Back Better World Partnership ovvero impegnarsi a sostenere i Paesi in via di sviluppo nella realizzazione di almeno 40 miliardi di dollari di infrastrutture puntando su quattro volani di investimenti: clima, salute, tecnologia digitale ed eguaglianza con una particolare attenzione a quella di genere. Ciò significa vedere nella comunità delle democrazie il possibile motore di uno sviluppo non solo economico ma anche sul fronte dei diritti, capace di aiutare i Paesi più poveri a trovare una propria formula di crescita senza essere obbligati ad accettare l’adesione alla Belt and Road Initiative, la nuova Via della Seta a cui Xi affida la scommessa di diventare il leader della globalizzazione.
Se dunque Donald Trump è stato il primo presidente Usa ad indicare nella Cina il rivale strategico di questo secolo, Biden è andato oltre e durante il summit di Carbis Bay, in Cornovaglia, ha proposto all’Occidente un piano strategico per contenere e prevalere su Pechino lì dove si sente più forte: negli aiuti economici che offre alle nazioni povere per renderle politicamente vassalle.
Le mosse di Biden non celano solo il rispetto per le alleanze create nel XX secolo contro nazifascismo e comunismo sovietico, ma anche la convinzione che l’eredità della Guerra fredda possa essere d’aiuto nella sfida agli autocrati del XXI secolo – di Pechino come di Mosca – perché a ben vedere l’intento di Washington non è la resa o l’umiliazione degli avversari bensì spingerli a rispettare, condividere, diritti e regole della convivenza internazionale.
Per comprendere di cosa si tratta basta rileggere la schietta conversazione telefonica fra il Segretario di Stato Antony Blinken e il parigrado cinese Yang Jiechi avvenuta proprio in coincidenza con l’inizio dei lavori del G7. Blinken ha recapitato una raffica di richieste che parlano da sole: trasparenza sull’origine del virus che ha già causato 3,7 milioni di vittime in tutto il mondo, collaborazione totale con la relativa inchiesta in corso da parte dell’Organizzazione mondiale della Sanità, fine della persecuzione dei musulmani uiguri nella regione dello Xinjiang e fine delle provocazioni militari nei confronti dell’isola di Taiwan. Ovvero Washington si aspetta da Pechino che ponga termine alle reticenze sulla pandemia che viene da Wuhan, che rispetti i diritti umani in patria – pensando anche a Hong Kong, Tibet e minoranza cristiana – e che cessi gli sconfinamenti marittimi ed aerei compiuti dai propri militari ai danni dei Paesi vicini in Estremo Oriente. È la descrizione di un’offensiva globale nella quale rientrano la denuncia, da parte di Biden, dei «lavori forzati in Xinjiang» e la decisione della Casa Bianca di acquistare almeno 500 milioni di vaccini da destinare ai Paesi più in difficoltà nella lotta al Covid 19.
In questa scelta di guardare al G7 nell’affrontare il rivale cinese, Biden si è trovato accanto – pur con accenti differenti – i partner mentre Pechino lancia la sua controffensiva accusando la Casa Bianca di «rappresentare un piccolo circolo di nazioni e non il vero multilateralismo».
Insomma, la seconda Guerra fredda è in pieno svolgimento e, come avvenuto per la prima, ha un cruciale palcoscenico europeo che sarà rafforzato dalle prossime tappe di Biden a Bruxelles, per i vertici Ue e Nato, e Ginevra, dove vedrà il leader russo Putin. Un palcoscenico sul quale anche l’Italia di Mario Draghi sarà presto chiamata a compiere scelte non indifferenti.