il Fatto Quotidiano, 12 giugno 2021
Biografia di Alessandro Greco raccontata da lui stesso
Come secondo cognome fa “Quellodifurore”.
Tutta una parola.
Per la comune anagrafe è Alessandro Greco, classe 1972 e un destino già deciso quando aveva quindici anni e “giravo Puglia, Calabria e Basilicata per presentare feste, sagre, manifestazioni e qualunque situazione che prevedeva un conduttore”.
Poi a 25 si è trovato di fronte Raffaella Carrà e Sergio Japino e dalle assi di legno e tubi Innocenti per simulare un palco, è passato alla luce del riflettore, quello “gigante”, quello di un tempo recentemente antico, quando gli spettatori si contavano a milioni e il rischio di “perdersi è stato forte”.
Oggi vive in Valdarno, insieme a sua moglie Beatrice Bocci, e tra una risata, un’imitazione, un ricordo e un progetto, si rammarica solo “che mi viene impedita quella continuità con il pubblico. Eppure, oltre a Furore, ho una carriera di soli successi”.
Allora non ha un grande agente…
Ho lo stesso da trent’anni, e va benissimo: insieme siamo partiti dalle feste di piazza, quelle itineranti; un’esperienza incredibile durata dieci anni. E lo rivendico.
Esempio di spettacolo itinerante.
Ho condotto qualunque manifestazione: dai concorsi canori, agli stage di acconciature fino alla danza o il festival delle Barbe e dei Baffi: dove c’era bisogno di un presentatore, arrivavo io.
Si sarà trovato di fronte a scene da Gialappa’s.
Una volta mentre stavo sul palco, il presidente del comitato ha iniziato con la riffa, e i premi consistevano nel pollo, la cassetta di vino o il prosciutto; quando nel 1997 mi sono presentato alle audizioni di Furore, la Carrà mi chiese: “Quanti anni hai?” E io: “Ne ho 25”. “Da dove vieni fuori tutta questa esperienza? tutto questo scilinguagnolo?”.
Risposta.
Dentro di me ho pensato: dal culo che mi sono fatto; (cambia tono) un’altra volta, mentre ero sul palco, non si sono coordinati con i tempi, è partito lo spettacolo pirotecnico con la cenere che ci finiva addosso.
Presentava ed era minorenne.
Fisicamente ero già grosso, dimostravo più anni, e come consolazione mi ripetevano: “Vuol dire che da grande sembrerai più giovane”.
Rimorchiava molto…
Partiamo da un punto: quando diventi famoso si accentua l’interesse nei tuoi confronti, ma grazie a Dio già prima non mi andava male; (sorride) alcuni appuntamenti erano diventati annuali.
Sempre in giro.
Chilometri su chilometri, come una carovana, stretti in macchina per risparmiare sul costo della benzina o sulla scelta dell’albergo
Torniamo alla Carrà.
Davanti a lei ho sentito la botta, ero improvvisamente in Serie A. Ero di fronte al mito.
Intimorito?
Anche qui: mi ha salvato la gavetta, quando ti poteva capitare qualunque imprevisto ed eri obbligato ad andare avanti.
Si è mai inceppato?
Neanche una volta.
Vuoto di memoria?
Può capitare, basta ammetterlo, coinvolgere il pubblico, e andare avanti.
Come andava a scuola?
Presentavo anche lì, le interrogazioni di italiano erano il mio show, e le recite erano l’occasione per testare il mio primo pubblico.
Ora non dica che è timido.
Sono riservato e ancora oggi, quando incontro Raffaella, non la vivo da pari a pari; (cambia tono) il successo di Furore è stata una botta clamorosa, con otto milioni di spettatori. Avevo 25 anni.
Botta clamorosa, come…
C’è stato il rischio di venir sopraffatto, per fortuna sono rimasto lucido, non mi sono fatto fagocitare: dopo la prima edizione ho messo su famiglia (con Beatrice Bocci). Per questo sono stato definito “integralista”.
Chi l’ha stupita in questi anni?
A parte Raffaella e Sergio? Lino Banfi: è circondato da una popolarità straordinaria, e ha un rispetto giusto, sano, del suo pubblico.
Rimpianti?
Mi sono stati scippati dei programmi.
Cioè?
Mi hanno chiamato dei capi progetto, degli autori e dei registi; mi hanno spiegato il format e alla fine li ho visti in onda condotti da altri.
A cosa è sfuggito?
Alla solitudine, perché provengo da un contesto familiare non idilliaco; poi ho scoperto che le mie attitudini artistiche mi permettevano di stare lontano da casa e a vent’anni ho giurato a me stesso che avrei tentato fino alla morte di riuscire in questo mestiere.
Che poster aveva in camera?
Zucchero, Pino Daniele e Clarissa Burt; un anno ero concorrente a Castrocaro, e lì c’era proprio Clarissa; una sera prende il telefono chiama Troisi e me lo passa: “Fagli la sua imitazione” (il suo Troisi è perfetto). E Massimo: “Non parlo accussì”. E io: “Invece tu parli proprio accussì”.
In questi anni chi le è stato vicino?
Nel mondo dello spettacolo? Ho buoni conoscenti, ma l’amico per me è un’altra cosa.
Lei tra dieci anni.
Non ne ho idea, vorrei lavorare, ma non dipende solo da me.
Lei chi è?
Uno che sa dire grazie sempre e comunque.