la Repubblica, 12 giugno 2021
In morte di Paola Pigni
Era Madre Coraggio, Paola Pigni. Perché si sacrificava, senza paura. Rubava chilometri alla vita e ai pregiudizi. La prendevano per matta quando correva per Milano a fine anni Sessanta. Il jogging a Central Park non era ancora una moda. Non c’entrava il femminismo, ma la voglia di libertà: «Mi dicevo che nessuno doveva impedirmi niente». Pensava di avere abbastanza fiato e volontà per correre le lunghe distanze. Anche se era una donna, anche se sul mezzofondo femminile in tanti avevano dubbi: non idoneo. Cara, riposati: a lei nessuno poteva permettersi di dirlo. Se n’è andata a 75 anni, all’improvviso, per un infarto. Non a letto, perché Paola era difficile stesse ferma, ma mentre partecipava alla festa dell’Educazione alimentare nella residenza presidenziale di Castel Porziano alla presenza di Mattarella.
Paola anche da mamma e da nonna correva e accorreva, lontana da ogni pigrizia, ovunque ci fosse la voglia di fare attività e un’idea di futuro. Diceva: «Esistono solo l’essere umano e le opportunità».
Lo sport femminile italiano le deve moltissimo, senza Paola Pigni oggi le donne non correrebbero né in pista, né sulle strade e nei parchi. Stabilì due record mondiali: nei 1.500 nel ’69 e nel miglio nel ’73. Quando arrivò terza nei 1500 ai Giochi di Monaco nel ’72, migliorando il suo record italiano tre volte nel giro di cinque giorni, dietro a due atlete dell’Est («Un furto, chi era davanti a me era drogato, doping di Stato»), fece la sua rivoluzione, dimostrando che le ragazze italiane non erano fragili, né timorose davanti allo sforzo e alle responsabilità. Le mamme allora non facevano fare sport alle figlie, altrimenti nessuno le avrebbe sposate: troppi muscoli nel corpo e nella mente. Ma Paola era magra da far paura. «A dieta non ci sono mai stata, non ne avevo bisogno, ero uno scricciolo di 55 chili, anzi ricordo la trasgressione di andare a comprare un etto di salame e di nasconderlo sotto il letto durante un ritiro». Portava i capelli cortissimi come Mariangela Melato, Carla Gravina, Jean Seberg, attrici anticonvenzionali, fuori dagli schemi. Era nata nel ’45, figlia di due cantanti lirici della Scala, padre tenore, madre soprano (di Barcellona), a Milano frequentando la scuola tedesca e abitando davanti all’Arena sentiva dall’altoparlante dello stadio annunciare le gare. Così iniziò a correre davanti a casa, senza fermarsi più. «Per le strade la gente mi prendeva in giro, ma io mi facevo anche 45 chilometri, con la nebbia e con un freddo pazzeschi. O da sola o con gli uomini. Non ho avuto una vita facile, mio padre è morto quando avevo 23 anni, per aiutare mia madre ho iniziato a lavorare, mi alzavo alle cinque, andavo in azienda, non mangiavo, la sera tornavo ad allenarmi. Diventavo sempre più forte e ho trovato chi credeva in me, Bruno Cacchi, che poi è diventato anche mio marito. Sono stata la prima a correre le lunghe distanze, anche la maratona, anche le campestri, mi piaceva il terreno fangoso, quella fatica era un inferno, non era da donne dicevano, a me invece garbava. Ho aperto una strada e questo non me lo toglierà mai nessuno». Vero, pioniera Pigni. Lo riconoscono tutte (e anche tutti). Sara Simeoni, saltatrice in alto: «Quando sono arrivata in Nazionale per me era un mostro sacro. Ha vissuto per lo sport, la sua passione rende il percorso meno difficile alle atlete di oggi». Novella Calligaris, nuotatrice: «È stata un’apripista, ha mostrato in anni difficili che noi atlete azzurre ci mettevamo impegno e potevamo tenere testa al mondo».
Adesso la scienza dice che si può, ma Paola a diciotto giorni dalla maternità di Chiara tornò in pista. Con le gare aveva smesso nel ’74 dopo 13 operazioni al piede e ancora le dispiaceva. Si teneva in forma, si allenava: «Non penso che anziano significhi inutile. Abbiamo un importante ruolo in questa società, prima di tutto quello storico e di testimonianza, perché senza un passato non ci può essere un futuro».
Ogni sera una camminata sul tapis roulant, addominali e ginnastica. Di correre Paola non ha smesso, lo ha fatto solo il suo cuore, che le aveva mandato segnali. Ma lei era testarda e credeva che davanti alla fatica non bisognasse mai abbassare la testa.