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 2021  giugno 11 Venerdì calendario

Intervista a Mahmood

Mahmood in Ghettolimpo veste l’abito dell’esploratore che prova a comprendere quali siano i territori del suo nuovo mondo, ne traccia le strade, scopre dove conducono. Lo popola con i miti antichi e li riconduce alla contemporaneità, dà vita a leggende e personaggi del quotidiano. Il nuovo album, disponibile da oggi, «parte un po’ dall’enciclopedia illustrata che vedevo da bambino» ci racconta, «il dizionario mitologico, i racconti che mi hanno affascinato fin da piccolo. Il clic è scattato con una frase di Rapide, quando dico "il ricordo è peggio dell’Ade", un modo per identificare uno stato d’animo e un mondo in cui nessuno è fino in fondo umano e davvero immortale ma tutti siamo semplici persone straordinarie.
Uso la mitologia per parlare di me, delle mie origini, per raccontare questi due anni». Due anni sulle montagne russe — la vittoria a Sanremo, i successi internazionali e il lockdown — nei quali si è perso e ritrovato e ha riversato nel disco anticipato dai singoli Inuyasha, Klan, Zero (colonna sonora dell’omonima serie Netflix),
Rapide e Dorado: tutti hanno scalato le classifiche di vendita e di streaming.
Da dove inizia il cammino di questo album?
«È iniziato molto tempo fa. Ho viaggiato, sono cresciuto, c’è stata la quarantena. Mi sono trovato all’asciutto, la creatività si è fermata con il resto. Sono cambiato, è cambiata la percezione che ho di me stesso, come si vede dalla copertina che rimanda a Narciso».
In che modo è cambiata?
«Subito dopo Sanremo è cambiata la mia vita. Mi guardavo allo specchio e vedevo una cosa diversa. Non mi riconoscevo, non mi piacevo nemmeno nelle foto, era tutto complicato. Poi mi sono sbloccato, ho fatto pace con me stesso».
All’inizio, come scrive in una delle canzoni, non ha vissuto bene neanche il successo.
«L’impatto è stato duro ma alla fine il cambiamento è stato relativo. Tutti i soldi che guadagno li spendo in cibo, non ho vizi, non compro collane e macchine, cerco casa perché vivo ancora in affitto.
Ho le abitudini di sempre, non posso neanche fare tutto quello che voglio quindi no, non mi sento un privilegiato. Né mi sento cambiato in senso artistico. Non basta avere una vita difficile per essere artista, sembra che se non vieni dalle periferie non hai niente da dire. Se uno è sincero lo è comunque, puoi parlare di povertà anche se sei nato nella bambagia, magari vivi in una situazione di merda e non hai niente da dire».
Lei ha scritto gran parte dei brani dell’album ma ci sono collaborazioni importanti, come quella con Elisa per "Rubini".
« Rubini me lo hanno fatto ascoltare in Universal, un provino che Elisa non voleva nemmeno usare. Ho riscritto la strofa, ci abbiamo lavorato insieme. Ho sempre amato la musica di Elisa, è stato uno dei miei primi concerti, è una memoria forte della mia adolescenza. La chiave del pezzo è il rimanerci male per le amicizie che non si rivelano tali. Io ho due amici veri da sempre, Gugo e Davide, questo pezzo è per noi, una rivendicazione degli sfigati, per chi soffre durante l’adolescenza. Più mi guardavano male e più ero una hit mondiale».
Perché la guardavano male?
«Beh, non ero il figo della classe, né alle medie né al liceo, mi hanno anche bullizzato. L’importante, anche in quelle situazioni, è essere sicuri di se stessi. Credo che il senso della canzone, quasi ironico ma in realtà voluto, sia la rivincita».
Il disco la rappresenta ancora dopo tutto questo tempo?
«Ho limitato le cose legate al passato, mi sembravano fuori contesto. Anche perché la quarantena mi ha scombussolato, ho avuto uno squilibrio nella vita privata e questo ha avuto ripercussioni sul disco, non riuscivo a scrivere. Dopo l’estate le cose sono ripartite, mi è tornata la voglia di fare».
E anche di raccontarsi, come fa in "T’amo"?
« T’amo è legata a mia madre. Io "ti amo" non riesco a dirlo quasi a nessuno, figurarsi in una canzone. Ma pensando a lei, al percorso fatto insieme superando le stesse difficoltà, ho cercato di metterci dentro tutto il mio amore. È un modo per scrivere di lei e dare senso alle mie origini. Io non parlo arabo, ma parlo sardo e ho messo nel ritornello "No potho reposare" con le Intrempass di Orosei, il coro di mia cugina Antonellina, tutto al femminile. Alcune sono delle signore di Orosei che vedo ogni estate ma ancora non ci avevo mai parlato».
E il messaggio?
«Sono sempre stato un rompiballe con i testi, quando trovo qualcosa che mi infastidisce mi blocco finché non arriva la soluzione che piace a me. Il testo sei tu, quello che vuoi dire e che arriva agli altri».