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 2021  giugno 11 Venerdì calendario

Intervista a Jean-Baptiste de Fransi, il presidente del nuovo Ior


«Siamo un istituto perfettamente in linea con gli standard internazionali. La nostra missione affidata dal Papa è stata portata a compimento. Ora dobbiamo consolidare e rafforzare questo posizionamento, sempre nel solco di servire la chiesa, le “opere di religione”. È tempo che anche la percezione esterna si adegui a quella che è la realtà dello Ior che non ha nulla a che vedere con il passato, nelle persone, nelle procedure, nei progetti e nei riconoscimenti continui in ambito internazionale. Lo Ior
del passato non esiste più né vi sono più le condizioni per un ritorno al passato».
Jean-Baptiste de Franssu, 57 anni, economista e banchiere francese, è presidente dello Ior dal 2014, anno di avvio della riforma delle finanze vaticane voluta da Papa Francesco, un “cantiere” che solo da poco si va assestando. Due giorni fa lo Ior ha ottenuto la “promozione” da Moneyval, l’organismo del Consiglio d’Europa che vigila sull’antiriciclaggio e il finanziamento al terrorismo. Ne parla con Il Sole 24 Ore nel suo studio nel Torrione Niccolò V.
Presidente, Moneyval ha assegnato all’istituto un giudizio di efficacia sostanziale.
È il riconoscimento di un percorso lungo, complesso, articolato, che ha avuto molti passaggi. Possiamo dire che è il tratto finale di un tragitto che ha portato lo Ior nel “top tier” delle altri istituzionali finanziarie mondiali. Siamo molto più piccoli, ma serviamo la Chiesa e il Papa, la nostra reputazione è la prima cosa, e ora – ma questo è già da tempo – possiamo riaffermare che è un istituto completamente diverso dal 2014.
A quei tempi erano ancora vivo il ricordo di inchieste giudiziarie e di problemi interni.
I passaggi fondamentali che hanno cambiato lo Ior sono molti e chiari, portati avanti assieme all’Asif (allora Aif): nel 2015 accordo con gli Usa su fisco e antiriciclaggio, nel 2016 accordo con Banca d’Italia sulla vigilanza e scambio di informazioni e quindi l’ingresso nella “white list”, poi il varo del nuovo statuto Ior. Ma la svolta definitiva è arrivata con altri passaggi internazionali,
il cui significato viene solo
ora certificato.
L’ottenimento del cosiddetto “Vatican Iban”?
L’ingresso nel 2019 nel circuito Sepa è stato fondamentale, è stata la prima conferma dell’enorme lavoro fatto, perlopiù in silenzio e senza annunci. La decisione non era affatto scontata. Poi, pochi giorni fa, prima del rapporto di Moneyval, l’annuncio che l’Irs, l’agenzia delle entrate Usa, ha inserito la Santa Sede e la Città del Vaticano tra le giurisdizioni che hanno delle regole di verifica in materia di sicurezza finanziaria conformi ai migliori parametri internazionali e lo Ior come intermediario qualificato: gli Stati Uniti hanno dunque riconosciuto che la normativa vaticana in materia di adeguata verifica del cliente è equivalente
a quella loro.
Ora quindi avete un accesso più diretto nel mercato Usa?
Anche prima vi accedevamo, ma avevamo degli obblighi enormi sul fronte degli adempimenti, con spese enormi. Ora, come intermediari qualificati, andiamo direttamente, e questo da inizio giugno. Sa cosa significa? Che anche negli Stati Uniti, per lo Ior e in generale per il Vaticano, è stata definitivamente cancellata la percezione del “paradiso fiscale”, della banca offshore.
Adesso operate direttamente sui mercati, con l’Iban e con tutte le certificazioni.
Bastano dei numeri: nel 2014 avevamo poche controparti finanziarie, ora sono 45, e sono destinate ad aumentare, stiamo negoziando accordo con altre.
Dal punto della governance il processo si è assestato?
Il Santo Padre può decidere in ogni momento di effettuare cambi. Ma posso dire che il Papa ci ha dato piena autonomia operativa, anche sul fronte delle risorse umane. I nostri dipendenti esperti in finanza li assumiamo sul mercato, e dobbiamo offrire condizioni che siano concorrenziali. Del resto siamo l’unico ente vaticano che lavora con l’esterno a questi livelli.
Una riforma recente ha centralizzato nell’Apsa la gestione finanziaria della Santa Sede, questo ha causato un’uscita di fondi depositati dai dicasteri?
La riforma ha affidato all’Apsa la titolarità dei fondi, ed è stata data disposizione di richiamare i fondi depositati in giro per il mondo. Ma lo Ior resta il cuore operativo nella gestione dei fondi. Ed è nella nostra natura: siamo l’unico ente vigilato dall’Asif. E aggiungo che il suo presidente Barbagallo è stato decisivo per il raggiungimento dei risultati
di cui ho parlato.
A giorni si aprirà il processo sull’immobile di Londra. La vicenda è stata innescata da una vostra segnalazione, dopo la richiesta di fondi di 150 milioni per rinegoziare un mutuo…
Noi nel 2019 abbiamo solo fatto una analisi professionale di questa richiesta, e sulla base delle carte ufficiali abbiamo agito: secondo gli standard di trasparenza cui ci dobbiamo attenere. Non è stata contro qualcuno, ma solo nel rispetto delle regole. Poi la magistratura ha svolto le sue indagini. Questo partendo sempre dal principio che siamo un’istituzione trasparente. C’è un elemento chiave nella percezione dello Ior: che la Chiesa non se ne vergogna più.
Avete qualche contenzioso in giro, come quello su un fondo a Malta che ha investito in un palazzo storico a Budapest
Stiamo procedendo per le vie legali, a difesa degli interessi dell’istituto, per recuperare il valore che ci appartiene. Lo facciamo a Malta e dove pensiamo che gli interessi dello Ior, e quindi della Chiesa, siano da tutelare.
Come sono andati i conti 2020?
Abbiamo realizzato un utile di 36,4 milioni, in linea con l’anno precedente, e di questi 27,3 destinati alla disponibilità del Santo Padre e 9,1 a riserva, per il rafforzamento del capitale e a sostengo di futuri investimenti, specie in campo tecnologico. Vogliamo stare al passo con i tempi e l’evoluzione continua del mondo economico.