la Repubblica, 11 giugno 2021
Zagrebelsky propone un Csm di nove membri
N on per mancanza di tempo, ma per limiti di spazio, concentriamoci su un tema solo: le “correnti” che compromettono il buongoverno della magistratura. Attraverso le correnti passano traffici politici e affaristici; si scambiano favori a vantaggio dei propri aderenti e a svantaggio dei magistrati che non hanno, né cercano, la loro protezione; si formano partiti di magistrati ai quali le legittime aspirazioni devono pagare tributi di fedeltà a questa o quella corrente. Solo l’andazzo mediatico, questo sì qualunquista, alimenta l’idea che sia dappertutto così. Però, si comprende che degnissimi magistrati preferiscano starsene per conto proprio e non correre il rischio d’invischiarsi in giri di potere. La Commissione avanza tre proposte circa il Consiglio superiore della magistratura, l’organo cui spetta il governo dell’ordine giudiziario: il sistema di voto per l’elezione dei componenti, il rinnovamento parziale a scadenza biennale e l’aumento del numero dei componenti. Circa l’elezione, la proposta è il “voto singolo trasferibile”. L’elettore vota più candidati, secondo un ordine di preferenza dato da lui stesso. Quando un candidato raggiunge una certa “soglia”, determinata attraverso un rapporto numerico tra i votanti e i posti da coprire, viene eletto e i voti eccedenti si spostano sulle seconde, terze scelte e così via. In Italia non conosciamo applicazioni di questo sistema che, tuttavia, la Commissione ci rassicura dicendo ch’esso è “un paradigma” in uso in Irlanda, dove pare funzionare bene per la formazione della loro Camera dei deputati. Se ne possono intuire certi pregi, per esempio una certa libertà di scelta da parte degli elettori. Ma hanno forse gli irlandesi un Csm da sanare? Non per gli irlandesi ma per tutti e dappertutto, qualunque sistema elettorale che voglia essere in qualche modo e misura rappresentativo, se le correnti (o i partiti) esistono non può fare altro che rispecchiarle più o meno fedelmente. Non si può far finta di incominciare da zero. La loro esistenza è il dato da cui partire e il voto che si trasferisce potrebbe addirittura, invece che indebolirla, rafforzarne la presa. Mobilitando e organizzando il proprio elettorato, non avrebbero difficoltà a impadronirsi, uno dopo l’altro, dei posti a scalare, non molto diversamente da quanto si può fare con altri sistemi elettorali di lista. La Commissione stessa avverte prudentemente che la sua idea risente della fretta con la quale si è dovuta pensarla e dell’assenza delle indispensabili verifiche circa le sue ricadute pratiche. Onde, tra le righe, possiamo scorgere una proposta titubante. Insomma, non più d’una suggestione. L’unica convinzione non è pro, ma contro: contro il sorteggio, caldeggiato da taluno come misura radicale e, al tempo stesso, umiliante per i magistrati. Il sorteggio (a meno di inserirlo in un sistema complesso e misto: sorteggio e elezione variamente combinati) è da escludere non per la curiosa ragione ch’esso “sembra implicare una sorta di contraddittoria sfiducia nell’efficacia delle misure” cui pensa la Commissione, cioè perché essa ha altre preferenze, ma per la semplice ragione che vi si oppone la Costituzione quando dice (art. 104) che la componente “togata” del Csm è eletta da tutti i magistrati ordinari e riconosce loro, così, il diritto e la responsabilità di “autogovernarsi”. La seconda idea importante avanzata dalla Commissione riguarda il rinnovo “modulare” del Consiglio. Ogni due anni, un terzo dei suoi componenti sarebbe sostituito attraverso nuove elezioni parziali. Ciò, si dice, dovrebbe rendere più “fluida” la dialettica tra le parti. Davvero? Forse, ciò comporterebbe che l’ordine giudiziario sarebbe perennemente in stato di elezioni, condizione di costante mobilitazione delle correnti in quanto comitati elettorali. Inoltre, trattandosi di eleggere solo un terzo dei componenti, l’effetto sarebbe contrario a quello voluto: non la fluidità ma il controllo delle correnti più forti e meglio organizzate. Del resto, anche a proposito di questo intricatissimo proposito, molto più difficile da districare di quanto sembri a prima vista, la Commissione avanza a se stessa le sue obiezioni concludendo che, a voler mai percorrere questa impervia strada, si dovrebbe mettere mano alla Costituzione. La terza idea è quella che sembra avere più possibilità d’essere accolta: l’aumento del numero dei componenti il Consiglio. La Costituzione non ne stabilisce il numero, limitandosi a indicare un rapporto: due terzi eletti dai magistrati, un terzo dal Parlamento. Oggi sono ventiquattro, rispettivamente sedici e otto (più due membri di diritto, il presidente e il procuratore generale della Corte di cassazione, oltre eccezionalmente al presidente della Repubblica). Rispettando la proporzione, il numero totale sarebbe gonfiabile o sgonfiabile a piacimento (così è stato negli anni). La proposta della Commissione è il gonfiamento: da ventiquattro a trentasei. Scrivo trentasei, senza poterci davvero credere. La proposta nasce dal fatto che, con i numeri attuali, per ragioni tecniche, né il nuovo sistema elettorale né la fluidificazione immaginati sarebbero possibili. Ma c’è l’eventualità che la proposta piaccia in sé: aumentare i posti riscuote normalmente consenso. Guardiamo però alla cosa, per l’appunto, in sé: già oggi il Csm è un organo pletorico. Abbiamo presente che cosa sono le sue sedute? Un’enorme tavola rotonda; dietro, in seconda fila, spesso siedono assistenti e collaboratori che sembrano “commissari”; tutti, più o meno rappresentanti di correnti; tutti, nelle questioni più importanti, militanti per la propria parte. E più si alzano i numeri, più le correnti, contro le quali si dice d’essere in campagna, sono necessarie. Come si fa a organizzare le elezioni e a mettere ordine ai lavori in parlamenti e parlamentini senza strutturare appartenenze, richiedere fedeltà, omologare le posizioni? Occorre organizzazione e l’organizzazione è gerarchia, la gerarchia è subalternità, la subalternità richiede capi e disciplina. I gruppi parlamentari e i gruppi consiliari negli enti locali sono indispensabili. Lo sarebbero anche nel Csm, se lo si concepisse come qualcosa di simile. Ma esso non ha da essere né un parlamentino né un consiglio comunale. Dovrebbe essere un consesso in cui ognuno rappresenta se stesso ed esprime la propria visione del buongoverno della magistratura per la quale ha ottenuto l’adesione dei suoi colleghi. Dire di combatterle, le correnti, e aumentare i numeri dei posti è una contraddizione patente. Una proposta semplice: nove consiglieri, sei eletti dai magistrati, tre dal Parlamento e poi organizzare il lavoro con tutto lo staff di cui il Consiglio dispone.