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 2021  giugno 10 Giovedì calendario

Buffett paga lo 0,1% di tasse, la sua segretaria il 30%

WarrenBuffett, detto “l’oracolo di Omaha” per la sua leggendaria capacità di fare soldi coi soldi anche quando gli altri li perdono, finisce spesso negli articoli della stampa progressista perché ama rilasciare dichiarazioni a effetto. Famosa una sua uscita del 2006: “È in corso una lotta di classe, è vero, ma è la mia classe, la classe ricca, che sta facendo la guerra. E stiamo vincendo”. Addirittura celebre una di quattro anni dopo che divenne famosa come “Buffett rule” e addirittura una proposta di legge sponsorizzata da Obama, che però non vide la luce: “Ma vi sembra giusto che io paghi il 17% di tasse sui 46 milioni che guadagnerò in questo 2010 mentre la mia segretaria dovrà pagare al fisco il 30% dei suoi 60 mila?”. Martedì, grazie al sito ProPublica, abbiamo scoperto che il nostro tra 2014 e 2018 ha pagato lo 0,1% di tasse sulla sua ricchezza grazie a scappatoie perfettamente legali: una percentuale irrisoria che lo accomuna a un’altra ventina di paperoni americani, da Jeff Bezos a Elon Musk, da Bill Gates a Mark Zuckerbeg, etc. La Buffett rule, insomma, è più una battuta da cena in piedi presto dimenticata che una posizione morale: questo, ovviamente, a voler scartare la non impossibile ipotesi della presa per il culo. La situazione dal punto di vista dell’equità della tassazione nel resto del mondo non è migliore di quella degli Usa, eppure in Italia la più profonda preoccupazione della maggior parte dei media e dei partiti politici, in questa fase, pare la mancanza di lavoratori che le imprese cercano invece disperatamente e a qualunque prezzo. Le spiegazioni agitate paiono due: fannullonismo ontologico o spiazzamento dell’offerta indotto da reddito di cittadinanza e simili (“la cultura del sussidio”, Enrico Letta). Della prima ipotesi non vale la pena occuparsi, la seconda invece ci piace assai e speriamo sia vera. Il sussidio per chi è disoccupato o comunque in difficoltà serve anche a quello: a permettergli di non vendersi come schiavo, a costringere le imprese ad aumentare i salari o a eliminare dal mercato quelle che non lo fanno. Ci sono cambiamenti positivi che iniziano anche col culo sul divano. Tanto più che in una società di arrivisti, scriveva Bufalino, buona regola è non partire.