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 2021  giugno 10 Giovedì calendario

Brunetta risponde a Cottarelli

Se si sta appiccicati con gli occhi a pochi centimetri da un dipinto, si finisce per perdere di vista il quadro e, inevitabilmente, deformare il particolare osservato. Questo è il torto che Carlo Cottarelli fa non solo a quanto il mio ministero con tutto il governo ha prodotto e sta producendo per dare forma a una vera e propria rivoluzione, sia pure gentile, della Pubblica amministrazione. Fa un torto a se stesso. Comunque sia lo ringrazio. Non posso tuttavia non contestare il suo approccio riduzionistico: si limita a commentare una parte, minima, senza considerare il tutto. E così facendo travisa, allo stesso tempo, il frammento e l’insieme. È invece proprio una visione olistica, evolutiva e diacronica che ci ha guidato in questi primi quattro mesi di governo e che ha guidato anche Cottarelli, che ha partecipato attivamente e utilmente al gruppo di lavoro sulla riforma della Pa per la scrittura finale del Piano nazionale di ripresa e resilienza.Cottarelli dimentica innanzitutto un passaggio fondamentale: il 10 marzo, assieme al presidente Draghi, abbiamo siglato con i sindacati il Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale. Tra i punti dell’accordo ci sono proprio la valorizzazione della contrattazione decentrata per la valutazione della produttività, la revisione delle progressioni di carriera e la rivisitazione degli ordinamenti del personale per adeguare la disciplina contrattuale ai fabbisogni di nuove professionalità e competenze, nonché il riconoscimento della formazione come “diritto soggettivo” del dipendente pubblico.Quel Patto è la cornice che ha inaugurato la stagione dei rinnovi contrattuali, linfa vitale per il cambiamento della Pa. La materia in cui Cottarelli ci rimprovera di non aver fatto abbastanza è regolata dai contratti collettivi di lavoro più che dalle norme. È talmente vero che la mia riforma del 2009, quella che cita positivamente per aver introdotto in Italia il “ciclo della performance” e i premi di produttività, è rimasta in parte inattuata proprio a causa del blocco della contrattazione, dovuto alla crisi finanziaria.Richiamando la legge 150/2009, Cottarelli ammette che le norme già ci sono: scritte e mai abrogate, recepite peraltro in diversi contratti. Ecco perché nel Pnrr abbiamo deciso di imboccare la strada che ci sembrava più giusta ed efficace: fare tesoro di ciò che abbiamo imparato in questi anni e lavorare sull’ultimo miglio, per rimuovere i colli di bottiglia che hanno lasciato inattuate quelle norme.La nostra diagnosi – suffragata sia dal gruppo di lavoro di cui ha fatto parte lo stesso Cottarelli, sia dalla “Commissione tecnica per la performance” – è stata lucida: finché le amministrazioni pubbliche non avranno una misurazione più chiara di cosa e quanto producono, ancorare la valutazione dei singoli a misure di risultato finisce con il generare indicatori di processo molto modesti (il numero di riunioni per misurare l’attività di coordinamento, tanto per citarne uno). Memori dell’esperienza precedente, abbiamo allora deciso di partire dalla misurazione di quello che una amministrazione produce, o dovrebbe produrre, ossia di uscire dall’autoreferenzialità dell’azione amministrativa per guardare a cosa succede realmente ai cittadini, alle famiglie e alle imprese. Allineare i sistemi di valutazione individuale alle performance organizzative, poggiando su dati di realtà più solidi e significativi: questo è l’ultimo miglio.Ma c’è dell’altro. Dopo il Patto Governo-sindacati del 10 marzo e dopo il riavvio dei tavoli per i rinnovi dei contratti, abbiamo approvato quattro riforme fondamentali per la Pa con tre decreti: la digitalizzazione e lo sblocco dei concorsi pubblici, la governance del Pnrr e le semplificazioni per rendere fluide le procedure amministrative, le modalità per il reclutamento del personale che lavorerà ai progetti del Piano e nuove regole sulle carriere. Non esattamente le sei righe e mezza del Pnrr citate da Cottarelli, ma il più grande piano di investimento sul capitale umano pubblico nella storia della Repubblica. Indispensabile anche perché, tra le assunzioni a tempo indeterminato per il ripristino del turnover al 100% e quelle a tempo determinato legate al Next Generation Eu, stimiamo dai 100 mila ai 150 mila ingressi l’anno nella Pubblica amministrazione nel prossimo quinquennio.Nell’ultimo decreto legge “reclutamento”, gli “assessment” e la valutazione di competenze, attitudini e motivazioni individuali sono indicati come gli strumenti principali tanto per le progressioni di carriera verticali, quanto per le nuove assunzioni. Si tratta di un dettaglio non di poco conto: finora le procedure concorsuali si sono basate sulla valutazione di conoscenze scolastiche, non certo del potenziale più adatto per “performare” nelle varie posizioni organizzative. Abbiamo capovolto la prospettiva.Il superamento dei tetti sul salario accessorio, affidato alla contrattazione, va nella stessa direzione e recepisce proprio l’impegno assunto nell’intesa con i sindacati. Un altro degli “strappi” da leggere nel complesso della riforma.Ancora: siamo convinti che per orientare i comportamenti delle persone serva anche investire in maniera importante sulla formazione. Perché non basta selezionare le persone dotate di potenziale, occorre poi fornire loro le conoscenze e gli strumenti adeguati all’incarico. Le competenze dei singoli e le capacità dei dirigenti non potranno mai sostituire anche il più perfetto e capillare sistema di “performance management”. Anche su questi due punti rompiamo con il passato, attraverso l’ingente investimento in formazione che abbiamo proposto nel Pnrr.Il motivo per cui vogliamo valutare il prodotto della Pa inteso come effetti generati sulla collettività dipende anche dal fatto che gli stessi dipendenti hanno bisogno di recuperare il contatto emotivo con quanto hanno contribuito a generare: il miglioramento della qualità e la soddisfazione degli utenti nei servizi pubblici deve essere il faro di tutti. Lo ripeto in ogni occasione: le amministrazioni pubbliche – una galassia di oltre 30 mila enti, non un unico datore di lavoro – non esistono per sé. Esistono per fornire servizi di qualità a 60 milioni di italiani. Vogliamo finalmente sul tavolo i dati concreti sui servizi prodotti. Questa è la nostra “milestone”, che trascina tutto il resto. Per essere sicuri che ciò avvenga, stiamo anche introducendo misure atte a rinforzare il ruolo degli Organismi indipendenti di valutazione (Oiv).Risponde all’approccio olistico, infine, e ne è forse la migliore incarnazione, il Piano unico integrato introdotto anch’esso con il decreto “reclutamento”. Appare davvero curiosa la definizione di “piano omnibus” data da Cottarelli: il Piano unico è l’integrazione degli impegni programmatori in una sola prospettiva, orientata alla produzione di valore, cioè ad avere obiettivi collegati ai risultati. Sinora le Pa erano tenute a predisporre oltre 25 documenti di programmazione. Una delle ragioni di mancata performance era proprio la dispersione in mille rivoli, con la logica del mero singolo adempimento. Evitare la frammentazione programmatoria – per cui le politiche del personale non si parlano con gli obiettivi di performance, per cui la corruzione e la trasparenza sono mondi a sé che non si coordinano con il resto – è la base per la misurazione e il miglioramento della performance.Con i diversi interventi realizzati in questi primi mesi di governo, abbiamo posto le fondamenta della nostra azione. Ma senza uno sforzo complessivo, quotidiano, graduale, dal livello centrale al livello locale, il cambiamento della Pubblica amministrazione è destinato a restare quel che è sempre stato: un mito. Non ce lo possiamo più permettere. Anche perché il rimbalzo del Pil a cui fortunatamente stiamo assistendo, e che ci porterà a una crescita annua intorno al 5%, ha bisogno, per essere sostenuto, di una macchina amministrativa rinnovata e ben oliata che corra in sintonia con il resto del Paese. Per questo parlo di “ultimo miglio” con riferimento alla transizione amministrativa prodromica alla transizione digitale ed ecologica: molto è stato fatto, ora bisogna mettere a fattor comune su tutto il territorio le esperienze di successo, lavorare per una Pa proattiva che accompagni cittadini e imprese e non li ostacoli.Il Ragioniere generale dello Stato, Biagio Mazzotta, ha ricordato ieri come l’esigenza di rendere interoperabili le banche dati delle amministrazioni sia precedente alla stessa digitalizzazione e come la Pa debba tendere verso un modello che metta al centro l’integrazione tra processi. Ne siamo talmente convinti che stiamo lavorando a uno strumento dirompente per l’orientamento dei cittadini nella grande mappa delle Pa.Detto in altri termini: noi stiamo formando la squadra (le norme e i mezzi operativi) per vincere la sfida. Le critiche al singolo elemento, ignorando la formazione complessiva e dopo un minuto dal fischio di inizio, sembrano quanto meno premature, se non ingenerose. Almeno si aspetti la fine della partita. In palio c’è la nuova Italia. —