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 2021  giugno 10 Giovedì calendario

I fratelli di Bartali e Coppi

Caro Aldo,
lo scultore Giuseppe Tarantino l’avrà fatto con le migliori intenzioni, ma la sua opera in bronzo dedicata a Fausto Coppi (l’abbiamo vista a Torino, al Giro d’Italia), è lontana anni luce dall’immagine che lo sportivo di oggi dovrebbe avere del campionissimo. L’avere rappresentato Fausto Coppi con le braccia alzate al traguardo, dopo una delle sue innumerevoli fughe solitarie, cozza sia con la realtà sia con la poesia che aleggia intorno alle sue imprese. Coppi arriva sempre a tagliare la linea di arrivo, ingobbito sulla sua bicicletta, frastornato dal ricordo della guerra, devastato dalla tragica morte del fratello Serse, immalinconito e turbato dagli accadimenti della sua vita famigliare. Coppi non gioisce, egli è succube delle sue vittorie. Merckx alza le braccia al cielo. Coppi si incupisce e si duole delle sue imprese, perché è il destino ad accompagnarlo nei suoi trionfi e nella sua irreale morte. Ed è sempre il destino ad averlo fuso, gambe, braccia e cuore, alla sua bicicletta. Così va ricordato Fausto Coppi.
Secondiano Zeroli
Bagnoregio (Vt)
Caro Secondiano,
premesso che il monumento di Torino non è brutto, in effetti in Rete non si trova una sola fotografia di Fausto Coppi a braccia alzate. Al massimo alza, e non del tutto, un braccio in segno di saluto, oppure solleva un mazzo di fiori. Lei ricorda la tragedia della Milano-Torino del 1951: la ruota di Serse Coppi, il fratello di quattro anni più giovane, si infila nelle rotaie del tram, in corso Casale, sulla riva del Po; mancano poche centinaia di metri all’arrivo al Motovelodromo; Serse picchia la testa. Non sembra grave, ma nella notte peggiora. Muore per emorragia cerebrale tra le braccia di Fausto. Non è altrettanto noto che pure Gino Bartali perse un fratello in bicicletta. E questo cementò il legame tra i due campioni.
Il loro duello fu letto in chiave politica. «Viva Bartali democristiano!», «Viva Coppi comunista!» si scriveva sui muri. Un falso: Coppi era cattolico, e alla vigilia del 18 aprile si schierò al fianco della Dc, firmando con Bartali una lettera aperta «agli sportivi d’Italia», per invitarli a «raccogliere l’appello del Santo Padre». Eppure tra i due c’era davvero una differenza profonda; e non solo perché Bartali era tozzo, forte, burbero, sempre imbronciato; mentre Coppi era agile, gentile, slanciato come un airone, o come l’albatro di Baudelaire, sgraziato quando cammina ma meraviglioso quando prende il volo. Bartali terragno, Coppi aereo. Ginettaccio e il Campionissimo. L’«uomo di ferro» e il ragazzo fragile che in carriera ebbe tredici fratture; e infatti uno ha vissuto 86 anni, l’altro è morto a quaranta. Uno parlava sempre, l’altro quasi mai. Come ha scritto Colin O’Brien, «Bartali rappresentava la vecchia Italia agricola e riservata, Coppi la nazione moderna che lottava per risorgere dalle ceneri del fascismo. Bartali apparteneva alla tradizione e alla Chiesa, era il simbolo di un’Italia di provincia, vigorosa e affidabile, dalla voce rasposa come le strade sterrate della Toscana su cui si allenava. Coppi era l’incarnazione vivente del dopoguerra: laico, ambizioso, elegante e sempre disinvolto negli abiti fatti su misura e dietro alle lenti degli occhiali da sole. Bartali si faceva fotografare seduto sul letto, a fumare sigarette, bere vino e giocare a carte, con l’aria di un bracciante più che di uno dei migliori atleti del mondo. Coppi sembrava una star del cinema, amava godersi la vita e spesso veniva fotografato a bordo di un’auto fiammante. Era instabile e incerto, come il futuro».