Corriere della Sera, 9 giugno 2021
Vincenza, la Saman di settant’anni fa
«Concezione bestiale del delitto d’onore. Uccide la figlia spingendola sotto un treno». In giorni d’orrore per la fine di Saman Abbas, la diciottenne pakistana assassinata perché si sentiva italiana ed era accusata d’aver «disonorato la famiglia» rifiutando un matrimonio combinato, vale la pena di rileggere un articolo pubblicato una settantina d’anni fa sul Giornale di Sicilia. Omettiamo solo i cognomi.
«In seguito al rinvenimento lungo la strada ferrata Marsala-Mazara-Alcamo del cadavere della diciassettenne Vincenza N. da Mazara del Vallo, i carabinieri iniziavano, or sono quindici giorni, accurate indagini in seguito alle quali denunciavano in stato d’arresto i genitori e il fratello della vittima, a carico dei quali erano emerse responsabilità gravissime. È stato infatti accertato che la ragazza aveva avuto rapporti col proprio fratello, il contadino ventiduenne Bernardo N., ed era rimasta incinta. In conseguenza di ciò i genitori, ritenendo che fosse stato leso dalla ragazza l’onore della famiglia, la istigavano al suicidio, attendendo con spietata e disumana ansietà ch’ella attuasse il gesto riparatore». Ma come: lui aveva stuprato la sorella più giovane e lei (lei!) era accusata d’aver offeso l’onore familiare?
«Il protrarsi di una situazione familiare resa ormai insostenibile», proseguiva la cronaca, «avevano ormai stremato ogni resistenza opposta dalla giovinetta che tuttavia si rifiutava, non ritenendosi la sola colpevole, di eseguire l’empia sentenza deliberata dal tribunale di famiglia, e voleva ad ogni costo vivere per espiare e redimersi, anziché morire in peccato. L’indugio esasperava il padre della N., il cinquantatreenne Vito N. (...) il quale invitava la figliola a seguirlo lungo la strada ferrata dichiarando che se le mancava il coraggio di uccidersi, la avrebbe aiutata lui. Quanto mai drammatico e disumano sarà stato il colloquio tra genitore e figlia nell’attesa del passaggio del treno... Furente e spietato il padre non esitava ad afferrare la figlia e a lanciarla sotto le ruote del convoglio: un urlo straziante squarciò il silenzio dei campi superando lo sferragliare del treno che continuò la sua corsa lungo la strada ferrata sulla quale era rimasto orribilmente maciullato il cadavere della infelice giovinetta…». Non era un padre immigrato, non era pakistano, non era islamico.