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 2021  giugno 09 Mercoledì calendario

I super ricchi Usa pagano tra lo 0 e il 3% di tasse

Sono fra gli uomini più ricchi degli Stati Uniti e del mondo, ma pagano aliquote fiscali effettive fra le più basse. Multimiliardari come Warren Buffett di Berkshire Hathaway, il fondatore di Amazon Jeff Bezos, l’ex sindaco di New York Michael Bloomberg o il fondatore di Tesla Elon Musk sono riusciti negli ultimi anni a versare in tasse quote bassissime rispetto all’aumento della loro ricchezza. In alcuni casi e per alcuni anni, hanno persino abbattuto fino a zero l’onere a loro carico a titolo dell’imposta federale americana sulle persone fisiche. 
L’inchiesta è stata condotta da ProPublica, l’organizzazione non profit di giornalismo investigativo basata a New York. ProPublica è in possesso dei dati dettagliati dell’Internal Revenue Service (l’equivalente statunitense dell’Agenzia delle Entrate) e ha analizzato i redditi, la situazione patrimoniale e gli investimenti dei più grandi tycoon residenti in America. Ne emerge, dettagliatissimo, il quadro di un mondo a parte. 
In America ci sono i ceti medi, che pagano aliquote sui loro redditi fra il 14% e il 37%. E poi esiste una dimensione separata nella quale vivono i più ricchi, che sull’aumento netto dei loro patrimoni fra il 2014 e il 2018 pagano in modo perfettamente legale lo 0,1% come accade a Warren Buffett, su una crescita di 24 miliardi di dollari in cinque anni; o versano o lo 0,98% come capita a Jeff Bezos, su un patrimonio cresciuto di 99 miliardi; o il 3,27% come riesce a fare Elon Musk, su una ricchezza aumentata di quasi 14 miliardi. In altri termini queste persone pagano in tasse centesimi o comunque pochi spiccioli per ogni 100 dollari aggiunti alla loro ricchezza. 
Si delineano così nella società americana due universi paralleli. Fra il 2014 e il 2018 le famiglie di quarantenni del ceto medio hanno visto in media i loro patrimoni crescere di 65 mila dollari, soprattutto grazie all’aumento di valore dei loro immobili, e ne hanno versati al fisco quasi altrettanti come imposta sui redditi personali o di coppia. Nel frattempo i 25 americani più ricchi hanno visto crescere i loro patrimoni di 401 miliardi di dollari, ma in media hanno pagato al fisco appena il 3,4% di questa somma. 
Jeff Bezos, l’uomo oggi più ricco del mondo, è riuscito a non pagare imposte federali sui redditi nel 2007 e di nuovo nel 2011, quando pure era già miliardario. Elon Musk ha fatto lo stesso nel 2018 e Michael Bloomberg, il fondatore della più grande piattaforma di informazione finanziaria al mondo, ha ottenuto lo stesso risultato in anni recenti. ProPublica mostra che anche l’investitore e filantropo George Soros, uno dei suoi finanziatori a fondo perduto, non ha pagato imposte fra il 2016 e il 2018. Soros spiega che in quei tre anni ha registrato perdite sulla propria gestione. Peraltro lui stesso e Buffett si sono pronunciati più volte di recente a favore di un aumento delle tasse sui ricchi. 
Resta che il meccanismo alla base di questi colossali squilibri è quasi sempre lo stesso: molti degli uomini più facoltosi hanno redditi relativamente ridotti – in proporzione ai loro patrimoni – e devono l’aumento della loro ricchezza al crescere del valore delle aziende da loro fondate o del portafoglio dei loro investimenti immobiliari e di portafoglio. E in America le tasse sull’aumento dei patrimoni investiti si pagano solo quando questi ultimi sono realizzati. Mai prima. Esistono poi ovviamente altre tecniche legali a disposizione dei ricchissimi per ridurre i versamenti. Molti costituiscono «family office» per la gestione dei loro patrimoni e li collocano fiscalmente in paradisi caraibici. Del resto la legislazione federale americana premia queste soluzioni. 
Lo scorso weekend i ministri finanziari del G7 hanno abbozzato un primo accordo per far sì che le grandi multinazionali debbano pagare almeno un’aliquota del 15% sui loro profitti. Ovunque essi siano realizzati o trasferiti. È stato un primo passo per compensare gli squilibri cresciuti negli ultimi trent’anni tra i soggetti più grandi e potenti – siano essi imprese o persone – e chiunque altro. Ma la strada per limitare le crescenti diseguaglianze resta lunga. E in salita.