Figlio di Kirk, monumento hollywoodiano scomparso nel 2020 a 103 anni, il successo in tv con Le strade di San Francisco poi una carriera lunga e di successo (due Oscar, quattro Golden Globe, un Bafta e un Emmy), film storici come Sindrome cinese, Wall Street, Basic Instinct e Attrazione fatale, Douglas è una delle figure più influenti di Hollywood. Ci risponde dalla sua casa nelle Baleari, dove si trova per una breve vacanza insieme alla moglie, l’attrice Catherine Zeta-Jones, prima di volare a Londra sul set di Ant-Man 3.
Mister Douglas, è un vero peccato salutare Kominsky.
«Ma è già molto essere arrivati alla terza stagione! L’accordo era solo per due ma visto il successo ci tenevamo a mettere un fiocco sul pacchetto. Il problema è stato Arkin, è un po’ più anziano di me e aveva detto che due stagioni per lui sarebbero state più che sufficienti. Qui appare solo in alcuni flashback. Ci è mancato».
Qual è il tema centrale?
«La vecchiaia. Che ci coinvolge tutti, nessuno è immune. Nella nuova stagione si cerca di sopravvivere, si fanno bilanci. Si mette in discussione ciò che si è fatto nella vita, si spera che ad attenderti ci siano cose belle».
Il bilancio sulla serie, invece?
«Ne vado fiero. Sono felice che il pubblico l’abbia apprezzata e che noi anziani siamo stati in grado di far ridere e piangere anche un pubblico molto più giovane di noi».
Dopo Danny De Vito ora in un piccolo ruolo c’è Morgan Freeman.
«Con lui avevo lavorato nel 2013 nella commedia Last Vegas , c’erano anche Bob De Niro e Kevin Kline, da allora siamo amici. Ha accettato subito, era un fan della serie ma Chuck Lorre me lo aveva tenuto nascosto, vederlo sul set è stata una sorpresa».
Kominsky insegna il proprio "metodo" ad aspiranti attori. Quel metodo è anche il suo?
«Direi di no, anche se sarebbe divertente. In fase di scrittura parlai con Lorre dei miei inizi di carriera, gli ho dato qualche idea ma poi lui ha fatto una ricerca sui maestri di recitazione a Los Angeles. Come attore non mi considero "metodico", faccio un lavoro istintivo, Sandy è un intellettuale, lavora sulla teoria, io sono più, come dire... semplice».
Mai dispensato insegnamenti o consigli a giovani attori?
«Negli anni sono stato consultato ma soprattutto nella mia veste di produttore, perché in quel ruolo posso aiutare. Come attore non saprei, sto ancora cercando la mia dimensione. È difficile dare consigli a un altro artista».
Lavora come produttore ma ama ancora recitare.
«Molto. Mi sorprende che mi vogliano ancora, mi propongano progetti. Ho interpretato il Dr. Hank Pym in Ant-Man e Avengers Endgame , a fine mese sarò a Londra per Ant-Man and the Wasp: Quantumania , terzo capitolo della saga. E sarò Ronald Reagan nella miniserie Reagan & Gorbachev con Christopher Waltz nei panni del leader russo. Mi tengo occupato e mi diverto».
Il futuro del cinema?
«Da questo anno e mezzo le sale sono uscite enormemente danneggiate, non vedo come potranno riprendersi. Penso che la voglia di andare al cinema non morirà mai e spero che si risolva anche il problema dei posti limitati. Ma il mutamento è stato drammatico, internet ha modificato la comunicazione e la promozione di un film, potremmo non viaggiare più per lanciare un prodotto».
Sta diventando quasi più prolifico del suo leggendario papà.
«Era straordinario, non credo che riuscirò mai a eguagliarlo. Le nostre sono epoche non paragonabili, basta pensare al modo in cui si oppose al maccartismo, le sue battaglie politiche interne all’industria, e poi tutta la beneficenza fatta da lui e sua moglie Anne, la mia madrina che abbiamo perso solo un mese fa. Quando ho scoperto quanto denaro hanno devoluto per aiutare gli altri ne sono rimasto sconvolto: non lo sapevo neanche io».