il Giornale, 9 giugno 2021
Breve ritratto di Pedro Castillo (che lunedì dovrebbe essere eletto presidente del Perù)
San Paolo A tre giorni dalle elezioni in Perù, con il 97% dei voti scrutinati, il presidente che dal prossimo 28 luglio governerà sino al 2026 il Paese andino, sembra essere il 51enne Pedro Castillo, leader di Perù Libre, «un partito marxista che sulla carta vuole nazionalizzare le miniere di proprietà straniera, invoca Lenin e Fidel Castro e mette in discussione le istituzioni democratiche come la libertà di stampa» per usare le parole dell’ultimo editoriale del Wall Street Journal.
Castillo avrebbe sconfitto di strettissima misura Keiko Fujimori, la figlia di Alberto, già presidente del Paese andino tra 1990 e 2000 che, dopo una condanna a 25 anni per violazione dei diritti umani, è ancora oggi in carcere. Il condizionale è però d’obbligo visti i 70mila voti che separano i due contendenti, meno dello 0,4%, quando rimangono ancora da scrutinare mezzo milione di schede, la maggior parte delle quali provenienti dall’estero, dove Keiko è più forte. Un’inezia. Keiko, già sconfitta per la miseria di 60mila voti alle presidenziali del 2016, per evitare l’ennesima beffa ieri ha messo le mani avanti, denunciando brogli nelle regioni rurali, dove invece è più forte Castillo.
Pedro ha ottenuto l’appoggio dei campesinos del Perù e, secondo molti analisti, è riuscito a riunire lo scontento delle classi più povere, soprattutto quelle delle zone del sud e dell’entroterra del Paese, storicamente dimenticate da Lima. Nato in mezzo ai campi a 700 Km dalla capitale, questo maestro elementare è salito agli onori delle cronache nel 2017, quando guidò un lungo sciopero di insegnanti per chiedere un aumento di stipendi. Le sue proposte sono riscrivere la Costituzione, aumentare il bilancio pubblico e preservare l’ambiente. Ma soprattutto cambiare l’economia di mercato per un’«economia popolare con mercati» dai contorni nebulosi che somiglia molto ai progetti iniziali di Chávez. Castillo difende più statalismo e la rinegoziazione delle royalties delle grandi multinazionali minerarie e petrolifere presenti in Perù. Inoltre vuole che la percentuale del Pil destinata all’istruzione, oggi del 3,5%, passi al 10%. È contrario all’aborto e al matrimonio omosessuale ed è conservatore su temi come la lotta contro l’insicurezza appoggiando la «mano dura» nel settore dell’ordine pubblico. La 46enne Fujimori, dovesse invece vincere lei, sarebbe la prima presidente donna del Perù. Laureata negli Usa in amministrazione di impresa, tra 2018 e 2020 è finita in carcere per presunte tangenti dalla costruttrice brasiliana Odebrecht, che lei nega. Ha coniato il termine «demodura», combinazione di democrazia e «mano dura» e propone lo sviluppo di una vera economia sociale di mercato che promuova il lavoro formale, lo sviluppo delle imprese, le associazioni tra pubblico e privato e gli investimenti sostenibili e socialmente responsabili. Dall’estero arriveranno in Perù proprio oggi le ultime urne e la speranza della Fujimori, come quella di chi difende il libero mercato contro l’incognita marxista di Castillo, è riposta tutta lì.