la Repubblica, 8 giugno 2021
"Un asino mi controlla" Così la Svizzera spiava Dürrenmatt
LUGANO – Friedrich Dürrenmatt, uno dei maggiori scrittori e drammaturghi svizzeri, venne spiato per quasi mezzo secolo, praticamente quasi fino alla morte, avvenuta nel 1990, dai servizi segreti elvetici, durante gli anni della guerra fredda. L’autore de “La visita della vecchia signora”, questo il titolo della sua opera più famosa, rappresentata nei teatri di mezzo mondo, da Parigi a Roma a New York, fu vittima del vero e proprio clima maccartista che, dal secondo dopoguerra al crollo del comunismo, portò alla schedatura di 800mila cittadini svizzeri oltre che di stranieri residenti, ritenuti un pericolo per la Confederazione solo perché vicini a partiti di sinistra o, semplicemente, per aver visitato un Paese situato al di là di quella che, dal ’45 all’89, era nota in Occidente come la Cortina di ferro.
Sicuramente sarà entrato nell’incarto dello scrittore, aggiornato minuziosamente da quella sorta di Stasi rossocrociata in cui si erano trasformati i servizi di sicurezza elvetici, anche la visita che effettuò in Polonia e nel campo di concentramento di Auschwitz. Dürrenmatt, il cui dossier presso i servizi segreti conteneva 17 fiches, in cui venivano annotati, pure, i suoi ricorrenti acciacchi di salute, come ha rivelato il domenicale Sonntagszeitung, era consapevole di essere schedato tanto che, nel 1966, affermò che «la Svizzera stava diventando uno Stato poliziesco con una facciata democratica». Per poi aggiungere, tra l’ironico e il furente, che «c’è un asino convinto di avere l’autorità di tenermi sotto controllo». Come un altro grande autore svizzero, lo scrittore Max Frisch, Dürrenmatt seppe smascherare, con le sue opere, le meschinità nascoste dalla facciata perbenista della società elvetica. Il che bastava, sicuramente, a degli apparati ottusi, per ritenerlo un potenziale pericolo.
Quegli apparati crollarono, come un castello di carte, nel 1989, guardacaso in coincidenza con la caduta del Muro di Berlino. Quando, svanita la paura del pericolo comunista, si scoprì che la Bundespolizei, la polizia federale, aveva schedato e tenuto sotto controllo uno svizzero su 7. Successivamente venne alla luce, pure, l’esistenza della P-27, una cellula dei servizi segreti equivalente dell’italiana Gladio, coinvolta, come altre organizzazioni della Nato, nell’operazione Stay Behind, volta a contrastare un’eventuale invasione sovietica dell’Europa occidentale.
Lo scandalo delle schedature, uno degli eventi più bui della recente storia elvetica, portò a una riorganizzazione della polizia federale, posta da allora sotto il controllo di una delegazione parlamentare. Non è probabilmente un caso che una vicenda come quella sia tornata d’attualità a 30 anni di distanza. Domenica prossima, infatti, l’elettorato svizzero sarà chiamato ad avallare, in referendum, una legge che dà più potere alla polizia, nella lotta al terrorismo. Temendo il riproporsi di abusi come quelli che hanno portato alla schedatura di Dürrenmatt e di altri 800 mila cittadini svizzeri, molti intellettuali, come pure diversi avvocati ed ex-magistrati, sono insorti, paventando il rischio di una legge che «apra le porte all’arbitrarietà».