La Stampa, 8 giugno 2021
Intervista a Cofferati (parla di Epifani)
roma
«Il nostro è stato prima di tutto un rapporto di amicizia e di affetto. A me mancherà un amico e alla sinistra mancherà una persona che poteva aiutarla a rilanciarsi e alla quale oggi direbbe: fermate i licenziamenti». Così Sergio Cofferati comincia il suo ricordo di Guglielmo Epifani. Cofferati ha guidato la Cgil per otto anni, dal 1994 al 2002, e al suo fianco ha sempre avuto Epifani come vice segretario generale. Insieme hanno contrastato il primo governo Berlusconi (1994) e il secondo, dal 2001 al 2002 quando Cofferati lasciò il timone del sindacato a Epifani. E tra i due Berlusconi si trovarono nella difficile posizione di dover trattare, mediare e anche confliggere con i governi di centrosinistra, guidati da Prodi, D’Alema e Amato.
Lei e Epifani avevate due storie politiche e culturali diverse, lui era socialista e lei comunista, anche se all’epoca della vostra Cgil i due partiti non esistevano più. Quanto hanno pesato queste differenze?
«Magari non ci crede nessuno, però non hanno pesato per niente. Avevamo un lungo percorso sindacale comune, lui segretario del poligrafici e io dei chimici, categorie che convergevano sulla linea politica. Quella riformista, diversa da altre che erano più radicali, a cominciare da quella dei metalmeccanici. Riformisti ma con al centro un’idea-forza: il sindacato autonomo dalla politica organizzata e strenuo difensore dei diritti collettivi e individuali».
Un esempio di autonomia dalla politica?
«Proprio quando si trattò di eleggere il successore di Bruno Trentin, Epifani si schierò con me. Rompendo lo schema delle appartenenze: una parte dell’area degli ex comunisti voleva Alfiero Grandi come leader della Cgil, invece fui eletto io anche grazie a Guglielmo. Che sapeva dirigere cercando sempre l’unità e creando un clima molto rilassato».
Ci racconti un episodio di questo clima...
«Quando eravamo nella segreteria di Trentin e Ottaviano Del Turco, io, lui e Angelo Airoldi eravamo considerati i giovani, e spesso dopo le riunioni mettevamo in mezzo Angelo, accusandolo di essere un estremista metalmeccanici. Non era vero ma ci divertivamo».
Il primo battesimo del fuoco della vostra leadership fu nel ’94 contro la riforma delle pensioni di Lamberto Dini, che era il ministro del Tesoro di Berlusconi.
«Esatto, portammo in piazza centinaia di migliaia di pensionati e non solo. Diciamo che noi scuotemmo l’albero su cui era seduto Berlusconi, e poche settimane dopo Umberto Bossi lo fece cadere».
Poi arrivò il governo dell’Ulivo, con Romano Prodi premier: correste il rischio di collateralismo col governo amico?
«Non ci fu alcun collateralismo, noi tenemmo ferma la nostra linea che rivendicava il metodo della concertazione inaugurato anni prima con i governi di Amato e di Ciampi. Diciamo però che nel mondo del centrosinistra c’era qualcuno che voleva fare a meno di quel sistema di relazioni col sindacato».
Lei non lo nomina, ma non è difficile pensare che si riferisca a Massimo D’Alema, col quale vi siete scontrati anche duramente…
«Lui ci accusava di essere vecchi e di pensare solo al “maschio adulto e garantito” che aveva il suo contratto in tasca. Noi invece difendevamo il contratto nazionale, pensavamo fosse quella la base per allargare le protezioni anche per chi non le aveva. Mentre D’Alema sosteneva che quel contratto non aveva più il valore di prima. Anche in quell’occasione, Epifani è stato solidale con me».
E così arriviamo al secondo governo Berlusconi e a quella oceanica manifestazione al Circo Massimo, tre milioni di persone. Epifani era d’accordo?
«Se non ricordo male fu lui ad annunciarla in segreteria che la approvò all’unanimità. Il governo voleva abolire l’articolo 18, che proteggeva i lavoratori dai licenziamenti senza giusta causa. Noi ci opponemmo. E quando dico noi, parlo di tutta la Cgil e ovviamente di Guglielmo che fu in prima linea. Aggiungo che pochi giorni prima le Brigate Rosse avevano ucciso Marco Biagi: noi decidemmo di confermare la manifestazione, nonostante molte pressioni esterne per rinviarla, mettendo al primo posto la lotta al terrorismo».
Poi lei lasciò la Cgil e il leader divenne Epifani: ha visto cambiamenti nella linea politica?
«Sinceramente no, direi che ha tenuto la barra dritta. Sempre con in testa la nostra idea che prima di tutto vengono i diritti delle persone».
Anni dopo Epifani, ormai non più leader della Cgil, diventò segretario del Pd in un momento di passaggio da Bersani a Renzi: fu un buon segretario secondo lei?
«La sua leadership durò pochi mesi, mesi difficili perché il Pd era in preda a scossoni violenti. Ed è stato proprio grazie alle sue doti di equilibrio e alla sua capacità di mediazione (doti che aveva imparato nel sindacato) che riuscì a evitare che il partito implodesse».
E di Renzi cosa pensava?
«Posso solo dire che non era d’accordo con il jobs act».
Negli ultimi anni Epifani decise di andare via dal Pd per partecipare alla nascita di Articolo uno con Bersani, D’Alema, Speranza…Pensa che abbia fatto una scelta giusta?
«Ha dimostrato una grande coerenza politica: un socialista riformista che si colloca alla sinistra del Pd. Nel nostro panorama politico, non sono in molti ad aver fatto un percorso così lineare». —