Il Sole 24 Ore, 8 giugno 2021
Il punto su Autostrade
Autostrade: per i Benetton un bonus da 5 miliardi, per Cdp il conto da saldare. Lo Stato rientra in pista a un prezzo pari all’incasso della privatizzazione: 6,8 miliardi che, attualizzati a oggi, corrispondono, a parità di perimetro, ai 9,1 miliardi di valore che la cordata guidata da Cdp riconosce all’asset in uscita dal gruppo Benetton. Ma lo Stato si accolla anche il debito contratto dai privati per finanziare l’acquisizione, per un ammontare che ancora a fine 2020 sfiorava gli 11 miliardi, con una leva di 6 volte.
I Benetton escono di scena dopo 21 anni con una dote figurativa pro-quota dell’ordine dei 5 miliardi, avendo già recuperato da tempo il costo del biglietto d’ingresso.
Nel frattempo la vita residua della concessione principale, quella dell’Autostrada del Sole che scade nel 2038, si è più che dimezzata e la rete è invecchiata mostrando tutte le sue rughe. La società che rientra sotto l’egida pubblica ha ancora più o meno le stesse tratte in gestione (manca solo la Torino-Savona che è stata ceduta nel frattempo), lunghe sempre poco più di 3mila chilometri, ma un terzo in meno degli addetti, scesi a 6.621 lo scorso anno.
Il Sole 24 Ore ha ricostruito la storia della prima privatizzazione andata e ritorno, sulla base delle cifre in gioco e dei dati di bilancio elaborati dall’area studi di Mediobanca.
6,8 MILIARDI
La privatizzazione
A cavallo tra il 1999 e il 2000 l’Iri ha ceduto l’86,6% di Autostrade per 6,722 miliardi. Il primo 13,42%, sotto forma di azioni privilegiate, era stato collocato in Borsa nel 1986 per 79 milioni. Incasso complessivo per lo Stato: 6,8 miliardi. A fine ’99 il 56,58% del capitale è stato oggetto di un’offerta al pubblico per un controvalore di 4,186 miliardi. Quindi, con contratto perfezionato nel marzo 2000, per 2,536 miliardi è stato ceduto il 30% a Schema28, un veicolo controllato al 60% da Edizione holding dei Benetton, con Fondazione Crt al 13,33%, Acesa (gruppo Abertis) al 12,83%, Ina e UniCredit al 6,67% a testa, e l’operatore portoghese Brisa allo 0,5%.
9 MILIARDI
L’acquisizione
Schema28 investe dunque inizialmente 2,536 miliardi (di cui un po’ più di 1,2 miliardi ricorrendo al debito) per rilevare il primo 30% nel marzo del 2000 e, nel febbraio 2003, mette sul piatto dell’Opa altri 6,5 miliardi raccogliendo un ulteriore 54,08% del capitale. Il totale fa 9,036 miliardi. Subito dopo Schema28 inizia a lavorare al rientro dell’esposizione. Già a fine marzo 2003 delibera l’incorporazione della società privatizzata nel veicolo dell’Opa, Newco28. Operazione che, nel settembre dello stesso anno, riporta in Borsa una società che si chiama ancora Autostrade, ma che ha cambiato natura, trasformandosi in holding, con il ramo autostradale trasferito a una controllata di nuova costituzione, Aspi appunto, acronimo di Autostrade per l’Italia. Con la fusione Schema28 scarica al piano di sotto tutto il peso dell’Opa e qualcosa in più, trasferendo a Autostrade 6,7 miliardi di indebitamento netto. Nell’abbraccio la quota di controllo, che era salita all’84% con l’Opa, si diluisce al 62%. Ma non finisce qui. Nel 2004, a luglio, Schema28 ricolloca sul mercato un altro 10% di Autostrade, incassando 893 milioni, ma mantenendo la presa col 52,15% del capitale. Margine che permette, l’anno successivo, nel febbraio 2005, di limare ancora la quota, senza perdere il controllo che resta al 50,1%, cedendo un pacchetto del 2,05% a Morgan Stanley e recuperando così altri 262 milioni.
L’ultima tappa è nel 2017, quando nel frattempo il gruppo Benetton si è separato dai compagni di cordata, ripristinando la quota iniziale del 30% ma sulla holding che ha cambiato nome in Atlantia e ha aggiunto altri business all’originario. Aspi ha frattanto allargato gli orizzonti al Sudamerica con partecipate estere – Autostrade e Autostrade indian infrastructure development – che quell’anno vengono conferite sotto forma di dividendo in natura alla controllante Atlantia. Sempre nel 2017 Aspi distribuisce anche un dividendo straordinario cash di 1,1 miliardi. E nel contempo, a luglio, Atlantia cede l’11,94% di Aspi incassando 1,733 miliardi: la quota cala all’attuale 88,06% che sta per essere venduto alla cordata di Cdp.
Idealmente qui il cerchio si chiude. Con gli ultimi aggiustamenti del 2017 i Benetton rientrano di riflesso dell’intera esposizione, senza intaccare la rendita in termini di dividendi che, sui 9 miliardi di cedole staccate complessivamente in vent’anni da Autostrade/Aspi, assomma pro-quota a 2,7 miliardi. Con la prossima cessione di Aspi a Cdp & soci, figurativamente la quota-parte di Edizione degli 8 miliardi che arriveranno da lì è di 2,4 miliardi, per un beneficio teorico complessivo, al lordo della fiscalità e senza considerare il costo del debito, dell’ordine dei 5 miliardi maturato in poco più di vent’anni. Non ci si può lamentare.
9 MILIARDI
I dividendi
Dal 2000 Autostrade prima, e Aspi poi, hanno distribuito complessivamente 9 miliardi di dividendi ordinari, oltre appunto alla cedola straordinaria di 1,1 miliardi del 2017, pagata attingendo alle riserve. Aspi ha sempre remunerato i suoi azionisti anche a valere sull’esercizio 2018, anno funestato dal crollo del ponte Morandi, staccando l’ultima cedola di 311 milioni nella primavera del 2019. Solo dal 2020, con l’esplodere della pandemia, i dividendi sono stati cancellati: i conti sono in rosso dal 2019.
9,1 MILIARDI
Torna lo Stato
Lo Stato ritorna dunque padrone attraverso Cdp (quota del 51%), in cordata con il fondo infrastrutturale australiano Macquarie (24,5%) e il fondo Usa Blackstone (24,5%), valorizzando 9,1 miliardi il 100% dell’equity di Autostrade per l’Italia (Aspi) che ha perimetro analogo alla società privatizzata ai tempi. L’esborso per rilevare l’88,06% di Aspi posseduto da Atlantia è di 8 miliardi.
Gli acquirenti si accollano però anche il debito, salito a 10,9 miliardi a fine 2020 rispetto agli 1,8 miliardi del ’99, prima che Autostrade uscisse dall’orbita pubblica. Nel contempo il patrimonio netto è diminuito da 2,419 a 1,842 miliardi e di conseguenza è esplosa la leva. Se nel 1999 Autostrade aveva un debito complessivo inferiore al patrimonio netto – con un rapporto tra debiti finanziari totali e patrimonio netto pari a 0,74 –, ora Aspi è appesantita da un debito pari a sei volte il capitale netto.
In sostanza, lo Stato riporta a casa quello che aveva venduto, con in più il debito lasciato dai privati da pagare.
3MILA
Il perimetro in km
Rispetto a quello che era uscito con Autostrade, rientra con Aspi sempre una rete di oltre 3mila chilometri. All’appello manca solo la tratta Torino-Savona, 131 chilometri, che è stata ceduta al gruppo Gavio per 223 milioni nel 2012. Per il resto, la differenza tra i 3.119 chilometri gestiti nel ’99 e i 3.019 di oggi è relativa al marginale allungamento di un paio di tratte.
Il valore è però cresciuto, passando dai 4,8 miliardi iscritti nel bilancio ’99 agli 11,3 miliardi del bilancio 2020, posta al netto degli ammortamenti e dei contributi pubblici a fondo perduto. L’incremento del valore delle tratte si spiega essenzialmente con gli investimenti effettuati in manutenzioni straordinarie e ampliamenti.
50%
Margini stellari
La gestione privata, come da manuale, ha esaltato la redditività. Infatti nel 1999 Autostrade, che fatturava 1,942 miliardi, mostrava un margine Ebit del 32,4%, salito già nel 2000, col passaggio di proprietà, a oltre il 40% (821 milioni di risultato operativo su 2,042 miliardi di fatturato), per aumentare ancora negli anni successivi fino alla punta massima del 53,6% nel 2017 (Ebit di 1,838 miliardi su 3,43 miliardi di fatturato netto). Nel 2018, nonostante la tragedia del ponte Morandi, il margine Ebit era ancora al 50,6% su 3,489 miliardi di fatturato, per poi scendere l’anno successivo al 38,1% (1,347 miliardi di Ebit su ricavi netti per 3,532 miliardi) e sprofondare al 4,9% nel 2020, quando il virus ha ridimensionato il fatturato netto a 3,03 miliardi e quasi cancellato il risultato operativo che è stato di 147 milioni.
3,2 MILIARDI
I pedaggi
Lo Stato recupera comunque un asset che ha aumentato le entrate. Bisogna fare riferimento al 2019, prima che il Covid paralizzasse il traffico, quando i pedaggi netti di Aspi erano pari a 3,217 miliardi, contro 1,782 miliardi del 1999, che, tenuto conto dell’inflazione, corrispondono a 2,5 miliardi di oggi. Non fa testo il 2020, compromesso dai lockdown, quando l’incasso da pedaggi si è fermato a 2,4 miliardi.
1,1 MILIARDI
La manutenzione
Nel 2020 alla cura della rete italiana sono state destinate risorse per oltre 1,1 miliardi. È l’eccezione e non la regola, anche se c’è da dire che mediamente su manutenzione, sicurezza e viabilità è stata convogliata dalla gestione privata una percentuale dei pedaggi superiore rispetto all’era pubblica, quando però l’infrastruttura era più fresca e richiedeva probabilmente meno attenzione. Negli ultimi due anni di gestione Iri, ’98 e ’99, l’incidenza delle spese di manutenzione sui pedaggi netti era stata infatti pari rispettivamente al 14,6% e 17,6%. Dal 2004, da quando cioè sono di nuovo disponibili i dati, l’incidenza sale dal 18,4% iniziale fino al massimo del 24,5% del 2007. Dal 2011 la società ha poi tirato il freno, tornando ai livelli precedenti la privatizzazione fino a toccare un minimo del 12,5% nel 2018, proprio l’anno della tragedia di Genova. Nel 2019 la spesa risale a 761 milioni, quasi il doppio dei 398 milioni dell’anno prima, con un’incidenza del 23,7% sui pedaggi netti. Il bilancio 2019 precisa che 623 milioni sono per manutenzione e 138 milioni per sicurezza e viabilità. Nel 2020, su 1.119 milioni di spese totali, 871 sono manutenzioni e 248 investimenti per la sicurezza e la viabilità. La voce include «oneri correlati alla ricostruzione del viadotto Polcevera» per 226 milioni nel 2019 e per 148 milioni nel 2020. In tutto 374 milioni correlati direttamente al cedimento del ponte, un costo addizionale per Aspi pari al 6,4% dei ricavi nel 2019 e al 4,9% nel 2020.
A stare alle cifre Autostrade non sfigurerebbe in un rapido confronto con l’estero nemmeno nell’anno più tirato. Nel 2018, mentre Aspi e la spagnola Abertis (passata nel frattempo sotto il cappello di Atlantia) avevano speso in manutenzione, rispettivamente, l’equivalente del 12,5% e del 12,2% dei loro pedaggi netti, le francesi Cofiroute e Asf, entrambe del gruppo Vinci, si fermavano al 12% e al 10,6%. Nel 2019, al netto delle spese sostenute per il viadotto Polcevera, Aspi aveva effettuato manutenzioni pari al 16,6% dei pedaggi netti, contro il 13% di Cofiroute e il 10,9% di Asf. È tuttavia da considerare che il raffronto è in qualche modo falsato dalla complessità del territorio italiano, in gran parte collinare, con gallerie e viadotti che impongono costi di manutenzione certamente superiori a quelli delle arterie autostradali che attraversano le grandi pianure continentali.