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 2021  giugno 07 Lunedì calendario

Al capezzale del Parlamento

Personalità di rilievo della Repubblica si danno il cambio al capezzale del Parlamento. Ex presidenti delle Camere, capi di partito, maestri del diritto pubblico. Significa che, per costoro, il Parlamento è malato. Emerge, per tentare una sintesi, la ricetta del monocameralismo, come cura a un fenomeno visibile a occhio nudo: la seconda Camera, che si tratti di decreti legge, o di leggi di bilancio, riceve il manufatto legislativo confezionato di tutto punto poche ore prima della scadenza giuridica. Rimedio empirico, all’apparenza inoppugnabile: si cura il sintomo, eliminando una Camera. Il rischio è che la cura somigli a quella praticata a un paziente sovrappeso al quale, per risolvere il problema, si decida di amputare un arto. Peserà meno, non dimagrirà. Con questa classe politica, una Camera in più non guasta: e per i tempi, ci sono altri mezzi. In realtà, può essere utile la figura dello storico costituzionale. La scelta dei costituenti per un sistema parlamentare, guidata per ovvie ragioni dalla necessità di contenere il potere del governo, fu corroborata, accentuata nella pratica dalla necessità di risarcire un terzo del Parlamento e degli elettori dall’assenza di alternanza al potere, imposta da drammatici equilibri internazionali. Da qui, quarant’anni di "governo parlamentare", di "centralità del Parlamento".
Va perdonata la sintesi estrema, eccessiva. D’un tratto, legata a eventi scollegati e potenti dell’ultimo decennio del secolo scorso (l’avvento plebiscitario del sistema maggioritario con i referendum e il terremoto nella geografia politica dovuto a Tangentopoli), ha inizio la stagione, opposta, della centralità dei governi, in una con il gelo sceso tra i partiti. Le opposizioni si abbarbicavano alla forza di resistenza, talora di ricatto, di un Parlamento in cui vigeva la regola dell’unanimità, necessaria fino ad allora; le maggioranze scatenavano la guerra della comunicazione, intorno un duopolio radiotelevisivo da smontare e rimontare. Mai il nostro sistema ha potuto contare su una relazione equilibrata tra governo e Camere, priva di gerarchie improprie. La malattia di oggi è in un ininterrotto corpo a corpo; nel contrasto tra una Costituzione scritta che brilla per la sua armonia formale, e una Costituzione materiale sempre più estranea alla nostra Carta costituzionale. O addirittura incostituzionale, almeno per quanto concerne la materia delle istituzioni.
Una sorta di meticciato costituzionale, quello di fronte al quale si trovano gli aspiranti demiurghi al capezzale del nostro sistema. Sembrano scartare, e il perché è un mistero, il rimedio che non richiede alcun ritocco, alcuna riforma della Costituzione: e pensano al monocameralismo, chissà perché alla sfiducia costruttiva. Rimedi in prospettiva probabilmente forse non inutili, di certo intempestivi. Il nodo dell’incongruenza tra principi costituzionali e pratiche in vigore è, essenzialmente, nel procedimento legislativo: trasferito con metodi, possiamo dirlo, fraudolenti da circa tre decenni, dalle Camere al governo. Nottetempo, si direbbe: con l’adozione di precedenti e prassi non evolutivi di norme, ma negativi delle stesse. La Costituzione, cui tutti si dicono fedeli, prevede all’articolo 72 un procedimento che ha per primattore il governo, ma che si dipana interamente in territorio parlamentare, tra commissioni in sede referente e assemblee. Nei fatti, decide il governo quanto debbano lavorare, o fingere di lavorare, su ogni progetto di legge gli organi di ogni singola Camera (o della prima Camera, quando vi siano scadenze temporali, da cui l’idea di amputare un ramo del Parlamento): a propria insindacabile discrezione, può comporre e inviare alle Camere un testo rispetto al quale cadono diritti collettivi e individuali che sono la base di un sistema parlamentare come il nostro. Diritti di esaminare, emendare, perfino di votare. Diritti sopprimendo i quali è improprio parlare di Parlamento. Soprattutto, cade la ripartizione dei testi in articoli: la base di una legislazione degna di questo nome. La base del dovere di ogni Parlamento di mettere i cittadini nella condizione di conoscere quelle leggi che sono tenuti, in ogni sistema democratico, a rispettare. Il guaio sono i maxiemendamenti, leggi della lunghezza di un romanzo, un pessimo romanzo. Un voto, per di più di fiducia al governo, una legge.
Sia perdonata questa sintesi davvero indecente. Il problema è, senza uso di retorica, decisivo, dirimente, in una democrazia. Soprattutto in tempi nei quale quasi ogni giorno rischia di cadere una democrazia, quasi come le stelle il dieci agosto di ogni anno. La politica, i partiti, tutti assieme, hanno un solo dovere: rispettare la Costituzione vigente, o cambiarla nelle forme previste. La terza opzione, fingersene rispettosi e ignorarla sistematicamente, non è ammessa. Parlamentari, presidenti delle Camere, partiti, autorità di garanzia, nei modi consentiti, hanno qualche mezzo per tornare a una normalità costituzionale. Il tempo scade tra poco, quando un nuovo garante salirà al Quirinale con il compito di difendere questa Costituzione.