il venerdì, 4 giugno 2021
Intervista a Wolfram Eilenberger - su "Le visionarie 1933-1943. Arendt, De Beauvoir, Rand, Weil e il pensiero della libertà" (Feltrinelli)
Radicali. Profetiche. Capaci di incarnare la filosofia con le loro azioni, le cadute, i trionfi. Sono Simone de Beauvoir, Hannah Arendt, Simone Weil e Ayn Rand, protagoniste di Le visionarie, il nuovo libro del filosofo tedesco Wolfram Eilenberger (tradotto per Feltrinelli da Flavio Cuniberto). Scegliendo gli anni più bui del Novecento, dal 1933 al 1943, Eilenberger racconta il "messaggio in bottiglia" che le quattro hanno lanciato ai posteri: una testimonianza di libertà, nel mezzo della più terribile distruzione dell’umano.
Sono state, le quattro, diverse. Lucida, impegnata nel rapporto intellettuale e di vita con Sartre, Simone de Beauvoir. Perseguitata da una strenua volontà di affermazione, Ayn Rand. Intelligenza finissima e cosmopolita, Hannah Arendt. Divorata dall’amore per il mondo, Simone Weil. Diverso è stato anche il loro destino. Nel 1943, quando le sorti della guerra sono in buona parte decise, de Beauvoir e Rand ottengono i primi successi editoriali; Arendt dice addio all’Europa e si prepara a un incerto futuro in America; Weil abbandona la vita. Pur così diverse, le quattro hanno fatto qualcosa che ci riguarda ancora oggi. Pensato se stesse, e gli altri, nel mondo.
Eilenberger, nel suo libro precedente, Il tempo degli stregoni, lei raccontava quattro filosofi negli anni successivi alla Grande Guerra. In Le visionarie ci sono gli anni Trenta e l’inizio della Seconda guerra mondiale. Cosa cambia?
"Gli anni Venti sono segnati da un movimento centrifugo, dal Noi all’Io. Negli anni Trenta torna a dominare il Noi. De Beauvoir, Rand, Arendt e Weil sono state giovani donne negli anni dei totalitarismi. Hanno cercato la propria strada in un periodo segnato dal confronto tra individuo e massa, tra Io e gli altri. Hanno capito che esisteva una forte pressione da parte del Noi: una pressione esistenziale e politica che voleva limitare le libertà degli individui. Il tema centrale della loro vita è proprio la libertà".
Perché ha scelto quattro donne per raccontare quei dieci anni del Novecento? C’è una scelta anche di genere?
"Non le ho scelte perché donne. Le ho scelte perché sono state tra le menti più interessanti del loro tempo".
Sono state delle outsider.
"Sì, tutte e quattro hanno sentito di non appartenere ad alcun gruppo. E tutte hanno vissuto una qualche forma di emarginazione. Erano donne, erano intellettuali e tre di loro - Arendt, Rand e Weil - erano anche ebree. Hanno fatto filosofia al di fuori dei circoli accademici. Rand si è dedicata a romanzi, teatro, sceneggiature. De Beauvoir era romanziera. Arendt si esprimeva con articoli, reportage, biografie. Weil scriveva diari e pezzi per riviste sindacali. Oggi la filosofia è spesso ridotta ad articoli accademici, scritti con lo stesso vocabolario e la stessa mancanza di personalità. Loro erano diverse".
Vediamole, le sue protagoniste. Ayn Rand, anzitutto, che lascia l’Unione Sovietica nel 1926 per gli Stati Uniti. In Le visionarie lei sottolinea un paradosso: da un punto di vista accademico, Rand è stata piuttosto trascurata, ma i suoi libri, da La fonte meravigliosa a La rivolta di Atlante, hanno avuto enorme popolarità.
"Ayn Rand è forse la filosofa più influente del Novecento. I suoi libri negli Stati Uniti sono secondi per vendite solo alla Bibbia. Alan Greenspan, futuro presidente della Federal Reserve, faceva parte del suo circolo più intimo. Donald Trump ha detto che La fonte meravigliosa è il suo libro preferito. E le idee di Rand hanno influenzato le visioni di molti guru della Silicon Valley, da Elon Musk a Peter Thiel. Per ragioni ideologiche, il suo pensiero violentemente individualistico è stato molto trascurato. Ma è un errore. Senza Rand, non si capisce l’America".
Veniamo a Simone de Beauvoir. Nel suo racconto, emerge per carattere e forza intellettuale.
"È stata una donna coraggiosa. Negli anni che racconto, ha scoperto la bisessualità e trovato un equilibrio alla comunità di amici e amanti - Olga, Bost, Wanda, Natalie - creata insieme a Sartre. Ma il suo ruolo non è stato solo quello tipico della donna che gestisce la vita del compagno. Oggi è considerata una pensatrice sociale, tra le fondatrici del femminismo, ma all’inizio della sua attività non sapeva nemmeno che gli altri esistessero. È stata una conquista progressiva, ottenuta grazie alla sua finezza psicologica, che ha finito per farle considerare gli altri come condizione della propria libertà".
Nel libro lei evidenzia la forza innovativa del suo pensiero, anche rispetto a Sartre.
"Sulla base di molte fonti, possiamo dire che il passo verso gli altri come condizione della propria libertà, la scoperta ’filosoficà degli altri, avviene grazie a de Beauvoir, non grazie a Sartre, che era molto egoista. È stata lei a rendere l’esistenzialismo un umanismo".
Tra le protagoniste di Le visionarie, Hannah Arendt è quella con la vita più avventurosa.
"Sì. La sua vita è stata segnata da molte tragedie: l’abbandono della Germania nazista, la fuga dalla Francia occupata, gli anni a New York. Eppure, non è mai caduta nella disperazione. Era, fondamentalmente, una persona felice. Penso dipenda da questo il fascino che esercita ancora oggi: anche nei momenti più bui, il lettore sente che Arendt cerca di amare il mondo".
Anche lei ha finito per esercitare una forte influenza intellettuale, se non politica.
"Arendt è la pensatrice dei nostri giorni e di quelli futuri. I suoi temi sono i nostri: totalitarismo, sorveglianza, appartenenza etnica, natura del male. Senza contare le sue analisi sul Medio Oriente. Gli articoli del 1942-43 sul futuro stato di Israele potrebbero essero ripubblicati oggi, senza cambiare una virgola. La sua idea di uno stato federale e multietnico torna oggi di straordinaria attualità".
Infine, Simone Weil: lei lamenta disattenzione nei confronti del suo pensiero.
"È il gigante dimenticato del Novecento. Ha capito le analogie tra stalinismo e nazismo. Ha incarnato, nel vero senso della parola, le idee che credeva giuste. Ha lavorato in fabbrica. È partita per la guerra di Spagna. Soprattutto la questione degli altri è stata per lei centrale. Weil ha sentito, nel suo corpo, i bisogni, la sofferenza degli altri. Ma è stata geniale anche in un altro senso. Ha respinto l’esaltazione dell’Io, ma giudicato persino più pericoloso il Noi, perché destinato a creare forme di obbedienza sociale e di falsa virtù. Mi sembra una riflessione importante alla luce di certi movimenti di oggi".
Si riferisce a movimenti come il MeToo?
"Mi riferisco a quelle forme collettive di politica delle identità, che appaiono come un Noi solidale ma che in realtà sono spesso un insieme di Io narcisistici, che si mettono insieme per ottenere vantaggi personali".
"Il sottotitolo del libro in tedesco è ’la salvezza della filosofia in tempi cupi’. A me interessano figure che non soltanto proclamano le loro idee, ma che le incarnano; che non sono filosofi accademici, ma che esistono filosoficamente. Queste quattro giovani donne non sono state soltanto salvate dalla filosofia, ma hanno salvato la filosofia. Hanno incarnato l’idea che anche nei tempi più tragici la filosofia può essere là per noi. E può creare opportunità e possibilità di vita".