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 2021  giugno 06 Domenica calendario

Ritratto di Jim Jarmusch

La vita non ha un plot, perché dovrebbe averla un film?» così mi rispose Jim Jarmusch quando lo incontrai per la prima volta. Ero rimasto colpito dall’ironia di ogni sua affermazione, e dal fisico alto e robusto. In quell’occasione mi raccontò di essere il fondatore della società «Figli di Lee Marvin», della quale possono far parte solo persone che amano i suoi film e hanno con lui una somiglianza fisica: è chiaramente un gioco, e in effetti Jim ha una vaga somiglianza, ma non si capisce cosa c’entrino Tom Waits, Thurston Moore, Nick Cave e John Lurie, se non per la volontà di scherzare goliardicamente con un gruppo di cari amici.
Sin dagli inizi della sua carriera ha amato contornarsi costantemente di amici che stima e con i quali ama scherzare (a cominciare dalla compagna Sara Driver): Tilda Swinton, Aki Kaurismaki e Roberto Benigni, al quale è legato da una profonda amicizia e con cui ha condiviso avventure memorabili come Dounbailò (Down by Law). Se l’ironia è la caratteristica fondamentale del suo sguardo sulla vita, l’indipendenza è quella che rivendica con orgoglio. Proviene da una famiglia della classe media, Jim: il padre era di origine ceca, mentre la madre era a metà irlandese e tedesca. Era lei che lo portava al cinema quando vivevano ancora nei sobborghi di Cuyahoga Falls, nell’Ohio. Adorava le matinée dove vedeva pellicole di serie B come L’assalto dei granchi giganti o La creatura della laguna nera. Tuttavia pochi film ebbero un impatto su di lui come Il contrabbandiere, con Robert Mitchum, come quelli proposti da Ghoulardi, un personaggio all’epoca molto celebre, il quale presentava in televisione film dell’orrore. E sin da allora si sentiva diverso da tutti i compagni di scuola.
Quando parla della loro amicizia, Tom Waits sottolinea un elemento personale molto importante: «Per capire la psicologia di Jim, si deve ricordare che i suoi capelli sono diventati grigi quando aveva 15 anni, e per questo si è sempre sentito un emigrante nel mondo degli adolescenti. E da allora è sempre stato un emigrante, uno straniero buono d’animo e affascinato: tutti i suoi film parlano di questo». In quegli anni, Jim, si è appassionato alla controcultura americana, a cominciare da William Burroughs, Jack Kerouac e gruppi alternativi come The Mothers of Invention. La passione per la musica è tuttora viva, e tra le esperienze artistiche che ama maggiormente c’è l’aver suonato le tastiere nella band The Del Byzantines. Tra i progetti più affascinanti c’è un’opera su Nicholas Tesla, e all’epoca non pensava di dedicarsi al cinema, ritenendo invece di potersi esprimere al suo meglio come musicista o poeta. Sono gli anni in cui si trasferisce a New York e poi a Parigi, dove passa giornate intere alla Cinémathèque Française, innamorandosi di Dreyer, Bresson, Ozu, Mizoguchi e Samuel Fuller.
Al ritorno negli Stati Uniti decide di dedicare la propria esistenza al cinema, e riprende a studiare alla New York University, facendo parallelamente l’assistente a Nicholas Ray. Il regista lo vuole accanto a sé durante la lavorazione di Lampi sull’acqua, il film documentario che Wim Wenders stava girando sui suoi ultimi giorni di vita. È stata un’esperienza fondamentale, riguardo alla quale racconta un aneddoto significativo: «Portai a Nick una sceneggiatura e lui mi disse che non funzionava perché c’era poca azione. Mi misi a riscriverla e venne fuori una stesura con ancora meno azione: temevo che Nick si indispettisse, invece mi ha elogiato, riconoscendo che seguivo quello che sentivo di esprimere».
Dopo il debutto con Permanent Vacation, diventa un regista di culto con Stranger than Paradise, che venne girato con 150.000 dollari e vinse la Camera d’Or a Cannes. Non tutti i film successivi hanno raggiunto la stessa qualità, e la pellicola più importante arriva una decina d’anni dopo con Dead Man, dove scrittura l’idolo d’infanzia Robert Mitchum, nell’ultimo ruolo della sua carriera. «Girare un film è come fare del sesso», racconta oggi, ma in tutto questo periodo ha alternato film di successo come Ghost Dog, un omaggio a Jean Pierre Melville, e Broken Flowers, all’incisione di album come musicista. Significativo ciò che ha dichiarato su di lui Josev van Wissem: «Realizza i suoi film come un musicista: quando scrivo la sceneggiatura sempre la musica in testa e ogni cosa viene influenzata in primo luogo dalla tonalità».
Nonostante l’ironia, i suoi film raccontano sempre storie di emarginati e quelli che in America chiamano con crudeltà losers, i falliti. È chiaro tuttavia quanto Jim li ami quando gli dicono che il suo stile è minimalista risponde «amo raccontare i momenti non drammatici», e poi aggiunge «il mondo è triste, ma è bello». Può sembrare sorprendente, ma non ha mai creduto al cinema d’autore: «Sono il navigatore di una nave, non il capitano, e non riuscirei a realizzare un film senza l’apporto imprescindibile di tutti gli altri». Quando gli ho detto che specialmente in Europa il suo cinema è considerato assolutamente d’autore, mi ha mostrato una sua vecchia dichiarazione che conserva gelosamente «Nulla è originale. Ruba qualunque cosa che risuoni dentro di te e accenda la tua immaginazione e ispirazione: divora vecchi film, musica, libri, dipinti, fotografie, poemi, sogni, conversazioni generiche, architettura, ponti, strade, segni, alberi, nuvole, acqua, luce ed ombre. Seleziona solo le cose da rubare che parlano direttamente alla tua anima. Se fai così, il tuo lavoro sarà autentico. L’autenticità non ha prezzo, l’originalità non esiste. E non perder tempo a nascondere il tuo furto, anzi se senti di farlo, celebralo. In ogni caso ricorda sempre quello che disse Jean Luc Godard: "Non è importante da dove prendi le cose ma dove le porti"».