La Stampa, 6 giugno 2021
Torniamo a parlarci come nel Neolitico
La tecnologia fa miracoli, ma dal Neolitico possiamo ricavare lezioni importanti. Chi parla è Jared Diamond, che, idealmente, inaugura I Dialoghi sull’uomo: il festival di Pistoia inizia il suo percorso del 2021, presentando una serie di interviste a grandi nomi dell’antropologia. Lui ha dato un fondamentale contributo agli studi sull’evoluzione. Il suo libro più famoso è Armi acciaio e malattie, ma nel titolo originale al posto di «malattie» c’è «germi». Un tema di estrema attualità.
La globalizzazione si è rivoltata contro chi l’ha prodotta?
«Globalizzazione e malattie: un tema importante. Ci sono due tipi di malattie: le malattie comunicabili, causate da germi, come l’Aids, il Covid e, in passato, il vaiolo. Ma ci sono anche malattie che non sono affatto dovute ai germi: quelle dello "stile di vita", a cui noi americani siamo più suscettibili di voi italiani, che fate una vita più sana e seguite una dieta migliore. Noi mangiamo cibi grassi, non facciamo esercizio fisico, tendiamo a essere sovrappeso e la conseguenza sono: diabete, disturbi cardiovascolari, ipertensione arteriosa, cancro… E’ triste dover constatare che ormai queste malattie non comunicabili siano la principale causa di morte non più il vaiolo, non il Covid. Continuate a seguire la vostra dieta mediterranea e vivrete più a lungo di noi americani!».
Il tema di quest’anno di Pistoia - Dialoghi sull’uomo è «Altri orizzonti: camminare, conoscere, scoprire». Si può dire che sia un po’ una sintesi della storia dell’umanità?
«Conoscenza e scoperta sono state al centro di 80 mila anni di storia dell’umanità, con un’accelerazione negli ultimi 2 millenni, e in modo particolare in questi ultimi vent’anni. Faccio un esempio: stamattina, un amico mi ha inviato dall’Australia una mappa dei monti e della fauna aviaria della Nuova Guinea. E’ bastato premere qualche tasto e ho potuto vedere immagini altimetriche riprese da satelliti che 20 o 30 anni fa erano inimmaginabili. Insomma, questa è un’epoca meravigliosa in cui vivere, e al tempo stesso un’epoca terribile».
Troppi viaggi, scoperte, che, se usate in maniera sbagliata, possono portarci a un collasso. Dovremmo forse mettere un freno al nostro slancio prometeico?
«E’ un bel dilemma. La tecnologia fa prodigi. Io sono vissuto in Europa dal 1958 al 1962: per parlare al telefono con i miei genitori dovevo scrivergli una lettera 3 settimane prima per avvertirli che gli avrei telefonato un dato giorno a una data ora; per giunta quegli 8 minuti di conversazione costavano cari. Dev’essere stato uno strazio per loro… Oggi invece mi basta prendere il telefono per poter parlare con i miei amici italiani e australiani. Ma la tecnologia si può usare per fare cose buone e anche cose cattive. Hanno usato la tecnologia quelli che l’11 settembre, hanno portato degli aerei a schiantarsi contro le Torri Gemelle di New York, uccidendo 2 mila persone. Oggi la Francia produce la maggior parte del suo fabbisogno energetico grazie al nucleare, ma è lo stesso nucleare che a suo tempo ha ucciso 100 mila persone a Hiroshima nel giro di un secondo. Insomma la tecnologia, ci rende potenti, ma può portare distruzione».
E’ l’immaginazione a spingerci oltre i confini della normalità?
«Sì e no. E’ un quesito molto interessante. Alcune innovazioni sono effettivamente il frutto di sforzi orientati a uno scopo. Quando Bill Gates e Paul Allen hanno inventato il personal computer, lo hanno fatto perché sentivano il bisogno di un dispositivo del genere. Ma ci sono innovazioni che non rispondono a nessuna necessità particolare. Il migliore esempio di queste è la scoperta della penicillina. Fleming non pensava a scoprire un grande antibiotico. Semplicemente stava studiando come crescono le muffe, è stata una scoperta accidentale. Insomma, alcune innovazioni sono intenzionali, e altre sono il frutto del caso».
Lei e molti altri studiosi sostenete che l’uomo neolitico sia stato il migliore nella storia, perché?
«Occorre sapere che anche nel mondo moderno esistono uomini neolitici, come i miei amici della Nuova Guinea: tra di loro c’è ancora qualche uomo che si fabbricava utensili di pietra. Un mio amico mi ha detto che l’ultima volta che è andato alla cava di pietra per fabbricarsi utensili con le sue mani è stata nel 1979. Sono persone formidabili sotto molti aspetti, anche se per altri noi abbiamo certi vantaggi rispetto a loro: viviamo più a lungo, abbiamo accesso a conoscenza di gran lunga più vaste, ma loro hanno maggiori competenze sociali. Noi abbiamo perso l’abitudine di guardare le persone in faccia e leggerne il linguaggio del corpo. Io stesso sono sconvolto dalla limitatezza delle competenze sociali dei giovani d’oggi. Penso ai miei figli, che ormai comunicano solo attraverso questi dispositivi. Gli uomini del Neolitico hanno maggiori competenze sociali, più vigilanza nei confronti dei pericoli, più attenzione nel pensare, più capacità di raccontare storie e vita sociale più ricca. Ciò nonostante, io sono contento di vivere negli Stati Uniti, perché se fossi vissuto in Nuova Guinea, sarei già morto da 40 anni».
Nel suo libro Il mondo fino a ieri lei ha sviluppato una visione pessimistica: crede che differenti concezioni dell’ambiente possano, invece, darci proposte concrete per il mondo futuro?
«Certo che sì! Noi impariamo dagli altri: possiamo farlo o leggendo vecchi libri, o facendo conoscenza con persone, che seguono uno stile di vita tradizionale, come gli abitanti della Nuova Guinea. In questo momento sto leggendo l’Odissea: Ulisse e altri fanno lunghi discorsi, perché? Perché all’epoca l’illuminazione artificiale non esisteva, e perciò si parlava molto: si conversava molto. Ecco quindi una cosa che possiamo imparare dal mondo di ieri: a conversare di più. Così come possiamo imparare anche dagli abitanti della Nuova Guinea, per esempio la consapevolezza del pericolo: in zone isolate, dove non ci sono ospedali devi essere per forza molto consapevole. E così, ho imparato da quella gente a stare più attento e a essere più vigile, il che fa impazzire i miei amici ed esaspera mia moglie e i miei figli, che dicono: "Jared, pensa sempre che qualcosa può andare storto!" C’è, però, un’altra cosa che ho imparato da loro: come si allevano i bambini. I miei figli sono nati poco prima che io compissi 50 anni e non avevo mai pensato molto a diventare padre. Ho però adottato il modello educativo fornito dai miei amici della Nuova Guinea che è questo: i bambini devono imparare a regolarsi da soli; devono correre dei rischi, perché solo così imparano a stare attenti. Ecco, io ho lasciato che i miei figli corressero qualche rischio. Non troppi, certo, però gli ho permesso di fare le loro scelte. E i risultati sono stati sorprendenti. Insomma, da Il mondo fino a ieri ho imparato a lasciare i miei figli liberi di scegliere, anziché fare come i tipici genitori americani, che li accompagnano sempre ovunque».
Com’è stata la sua vita durante questo anno di Coronavirus?
«Il Coronavirus ha provocato grandi cambiamenti, alcuni terribili. Abbiamo perso degli amici e anche molti dei nostri contatti sociali: io e mia moglie per un anno non abbiamo potuto avere amici a cena. Paradossalmente, ci sono stati anche dei lati positivi. Per me è una gioia stare con mia moglie tutto il giorno, tutti i giorni. Ho avuto tanto tempo per fare bird watching. Una vicina di casa, poi, suona il violoncello e, visto che io suono il pianoforte, passiamo più tempo a suonare Bach, Beethoven, Brahms. Insomma, a causa del Covid ho passato più tempo in compagnia di mia moglie e a fare musica, ma meno tempo in compagnia di amici in presenza».